domenica 29 dicembre 2013

Momentanee risposte


Ma se siamo tutti insieme dentro un bosco e io ad un tratto mi ritrovo sola, 
sono io che ho perso voi o voi che avete perso me?


Una piccola goccia, solo una piccola leggera lucente trasparente goccia.
Una mattina diversa dalle altre cominciò a scendere e sentì di essere triste; fu attraversata per un impalpabile momento da un senso di non appartenenza, si sentì estranea lì dov’era, una malinconia che gridava per quel nessuno che mai l’avrebbe custodita  in quella scatola accanto al cuore, sentì la sua voce perdersi.
Il vuoto.
Cosa ci faccio qui?
Si fece coraggio e mise accanto al suo buongiorno tutta quella tristezza, sussurrò la sua richiesta d’aiuto, lo fece con tutta la forza che riuscì a trovare.
Accanto al buongiorno ottenne indifferenza
ma che dici
e la goccia proseguì il suo viaggio.
La strada si faceva più impervia, sassi, rovi, salite e tremendi schianti, mentre quel buongiorno frastornava il suo cammino tra vuoti e voluti silenzi, pensati solo come specchio di se stessi
maschera di un lento addio.
La goccia trovò un riparo in cui qualcuno potesse ascoltarla e cominciò a narrare perché le faceva bene, raccontare leniva le sue paure, toccare i suoi pensieri con le parole la recuperava a se stessa, un mondo suo ma anche una finestra per chi avesse voluto ascoltare.  
Ma un tonfo sordo e i suoi racconti finirono.
Perché mai le parole non erano bastate a spiegare?
Quale sortilegio?
Fu come parlare a nessuno, un muro che già sapeva cosa pensare e dire; la goccia ricordava quella mattina, si era concentrata sulla sua tristezza perché nessuno l’aveva ascoltata  e il mondo se la prendeva con lei, quel mondo che però non aveva colpe, tutto quel mondo che aveva scansato per riprendere, sola, il suo viaggio in sé, quel mondo che si chiedeva perché mai aveva perso il suo sorriso mentre c’erano state risposte che non aveva ascoltato.
Ma tu hai ascoltato la goccia in quella mattina di primavera? No, mondo.
Tornò a scendere, sempre più forte, sempre più spesso e questa volta i rovi sulla strada divennero più fitti, difficile si fece scorrere tra gli interstizi dei pensieri, che si facevano sempre più pesanti.
Le parole l’avrebbero aiutata ad asciugarsi, il sole era tramontato ma due parole di affetto sarebbero state come il vento sui panni stesi ad asciugare. Non ci furono.
Decise di proseguire il suo viaggio, sarebbe stata dura ma mai avrebbe smesso di andare avanti e raccontare la sua storia … ma a chi?
Le giornate divennero più dure, un volto bagnato dalla pioggia, un cuore impazzito, difficili risvegli finché non venne il silenzio.
Fai silenzio, basta, non devi parlare, smettila …
La goccia esplose.
Un grande dolore la terrorizzò, divenne cento, mille, diecimila gocce di pioggia e allora decise che mai avrebbe fatto silenzio, lei aveva imparato a parlare di sé e mai nessuno le avrebbe imposto di tacere.
Il dolore ancora è forte, ogni volta porta con sé i mostri della vergogna, inspiegabile a dirsi, ma quella goccia è ancora e solo una piccola leggera lucente trasparente lacrima che continua a scendere giù dagli scogli impenetrabili di un’anima, portando con sé la nostalgia dei ricordi, la rabbia delle bugie, l’incomprensione delle offese … perché se una goccia dice che è triste ci deve essere sempre un’altra goccia ad ascoltare.

Vi auguro una pioggia battente. 
A me resta un risveglio senza buongiorno.

giovedì 26 dicembre 2013

...con i versi si fan ben poco... Rainer Maria Rilke

"...Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d'infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per altri), a malattie dell'infanzia che cominciavano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavamo alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso."

Rainer Maria Rilke (1875-1926)da "I quaderni di Marte Laurids Bridge"


sabato 14 dicembre 2013

Quale è il tempo sprecato?

Alice: Per quanto tempo è per sempre?
Bianconiglio: A volte, solo un secondo.
(Lewis Carroll)


Esiste il tempo sprecato? Non lo so. A volte lo sentiamo trascinarsi, arrancare, il tempo che non passa mai e gonfia gli attimi di attese. Altre ci sorpassa, beffandosi di noi, che inermi a bocca aperta lo vediamo correr via quasi pieno di paura. Il tempo è relativo … bella scoperta.






Il tempo perso.

Hai perso tempo.

Non perder tempo!

Hai sprecato il tuo tempo.

Non sto qui a sprecare il mio tempo con te …

Se il tempo è sprecato, allora il tempo è prezioso.

Sì, questa è una bella scoperta. Il tempo è prezioso perché ci consente di sbagliare, ci dona possibilità, estrae dal cilindro seconde volte, ci regala il dono della riflessione, ma ci dice: il tempo sei tu, non io.

E venne il tempo che pieno d’amore trovò uno specchio in cui riflettersi, si trovò invecchiato, qualche ruga qua e là, ma il respiro era quello di un tempo … sì, di un tempo. Venne perché il giorno glielo consentì, il giorno che si fece avanti spinto dai suoi compagni di calendario e uscito dalle file scomposte di santi disse al tempo: Sei uno spreco! Tanto prezioso quanto sprecato! Guardati! Hai uno specchio davanti, forza! Guardati e dimmi se non sei sprecato! Tutti quegli attimi che potrebbero vivere, tutto quel bene che potrebbe essere, tutte quelle idee che potrebbero camminare! Dimmi se li vedi anche tu!

Il tempo si guardò indietro sulla linea che altri avevano tracciato per farlo scorrere, tra alti e bassi, scivoloni e brusche frenate, non riuscì a vedere granché, una strana nebbia scese a confondergli la vista. Intravide vuoti attimi che aspettavano di colmarsi con parole di perdono, ore sospese a chiedersi dove fossero i buoni propositi, lunghi momenti di esitazione appesi intorno a un ti voglio bene … la nebbia calò fitta e il tempo non ebbe più il coraggio di guardare oltre. Provò a girarsi e trovò il vuoto. Nostalgia e rimorso, questo aveva incontrato e mai avrebbe potuto dimenticare.

Il giorno tornò ad incalzare il tempo: Mai? Ho sentito un mai! Come puoi tu tempo pronunciare un mai? Non puoi fermarti, non devi fermarti.

Così dicendo porse al tempo un grosso pacco con un nastro azzurro. Il tempo lo aprì e scoprì il sempre, quel sempre che aveva dimenticato.

Non tutti credono al sempre, in fondo esiste il sempre perché c’è un mai … strano il tempo.

Ti terrò sempre accanto al tempo che passa.

Sì, ma sto sprecando il mio tempo. Tutti sprechiamo il nostro tempo, ma non quando lo riempiamo, perché le azioni, le scelte, i sentimenti, le emozioni giusti o sbagliati che siano ci sono, il tempo sprecato è quello non vissuto, è quel sentimento che per orgoglio ci rimane incastrato nella mente mentre il cuore grida, è quell’idea che per il poco amore che abbiamo per noi stessi resta morta e inerte nella mente e il cuore lì sugli spalti a fare il tifo per lei, questo è il tempo sprecato.

Il tempo sprecato è quello che avremmo potuto fare, è quello che ancora avremmo potuto condividere, è quello che avremmo potuto creare, vivere, è l’amore che esiste e non è vissuto … è il tempo amputato e che vede il vuoto davanti a sé per le scelte sbagliate che si ostinano a marciare come un esercito in battaglia. Il tempo sprecato decide di perdere il suo futuro.

No. Non direi mai a qualcuno: ho sprecato il mio tempo con te, ma il mondo è cattivo … a volte … e non ricambia le nostre buone intenzioni.

Bianconiglio non me ne voglia, di nuovo, io non ho mai deriso nessuno figurarsi poi … lei, questo ci fa perdere solo del tempo, e come detto il tempo è prezioso e io non l’ho mai sprecato in questo modo. 



Alice: È tardi! È tardi!
Bianconiglio: Uh, poffare poffarissimo! È tardi! È tardi! È tardi!
Alice: Questo sì che è buffo. Perché mai dovrebbe essere tardi per un coniglio? Mi scusi? Signore!
Bianconiglio: Macché! Macché! Non aspettano che me! In ritardo sono già! Non mi posso trattener!
Alice: Dev'essere qualcosa di importante. Forse un ricevimento. Signor Bianconiglio! Aspetti!
Bianconiglio: Oh, no, no, no, no, no, no! È tardi! È tardi, sai? Io son già in mezzo ai guai! Neppur posso dirti "ciao": ho fretta! Ho fretta, sai?

(Lewis Carroll)

martedì 3 dicembre 2013

Fino a che punto?

Avanzarono in silenzio per più di due giorni. L’Alchimista si dimostrava molto più prudente, perché stavano avvicinandosi alla zona dei combattimenti più violenti. E il ragazzo cercava di ascoltare il proprio cuore. 
Era un cuore difficile: prima era abituato a partire sempre, ma adesso voleva arrivare ad ogni costo. A volte il suo cuore si tratteneva, per lunghe ore, a raccontare storie di nostalgia, tante altre volte si commuoveva davanti al sorgere del sole nel deserto, facendo piangere il ragazzo, che si nascondeva. Il cuore batteva più veloce quando gli parlava del tesoro e rallentava quando i suoi occhi si perdevano sull’orizzonte sconfinato del deserto. Ma non se ne stava mai in silenzio, neppure quando il ragazzo non scambiava una sola parola con l’Alchimista. 
“Perché dobbiamo ascoltare il cuore?” domandò il giovane quando, quel giorno, si accamparono. 
“Perché dovunque esso sarà, lì si troverà il tuo tesoro.” 
“Il mio cuore è inquieto” disse il ragazzo. 
“Bene, il tuo cuore è vivo. Continua ad ascoltare ciò che ha da dirti.” 
Nei tre giorni successivi, i due incontrarono alcuni guerrieri e altri ne videro all’orizzonte. Il cuore del ragazzo cominciò a parlargli di paura. Gli raccontava storie che aveva uditi dall’Anima del Mondo, storie di uomini che erano andati in cerca di tesori e non li avevano mai trovati. Ogni tanto spaventava il ragazzo con il pensiero che anche lui avrebbe potuto non scoprire il tesoro, o morire nel deserto. Altre volte gli insinuava di essere già soddisfatto, di avere già trovato un amore e tante monete d’oro. 
“Il mio cuore è traditore,” disse il ragazzo all’Alchimista, quando si fermarono per far riposare un po' i cavalli. “Non voglio che continui a parlare.” 
“È un bene,” rispose l’Alchimista. “È la prova che il tuo cuore è vivo. È naturale aver paura di scambiare per 
un sogno tutto ciò che si è già ottenuto.” 
”Perché allora devo ascoltare il mio cuore?” 
“Perché non riuscirai mai a farlo stare zitto. E per quanto tu finga di non ascoltare ciò che dice, sarà sempre nel tuo petto e continuerà a ripetere quello che pensa della vita e del mondo. 
“Anche se è traditore?” 
“Il tradimento è il colpo che non ti aspetti. E se tu saprai conoscere bene il tuo cuore, esso non te lo darà mai. Perché conoscerai i tuoi sogni e i tuoi desideri, e saprai fronteggiarli. Nessuno riesce a sfuggire al proprio cuore. Quindi è meglio ascoltare ciò che dice. Perché non si abbia mai quel colpo che non ti aspetti.” 

L’alchimista, Paulo Coelho 

domenica 1 dicembre 2013

Non ci sono più specchi

Le anime si incontrano per caso,
per curiosità, per determinazione.
In tutti i casi, l’incontro ha sempre del miracolo.
Nella coincidenza,
la componente magica è più evidente,
ma decidere, partire, muoversi a tempo,
fino a trovarsi nel luogo dove la cosa sta accadendo
è miracoloso
come la costruzione di tutte le cose immaginate.

Vinicio Capossela





Sono andati tutti via ed è sceso il silenzio; è venuto giù accompagnato dalle tenebre a riempire la mia testa, abbandonata, non più distratta da balsamiche parole di presenze. Il silenzio è arrivato e con lui sempre la me che forse non esiste.

Hanno coperto gli specchi.

Parola inaspettata che ti fa sentire mostro, criminale, che spaventa e terrorizza, squarcia il dolore e ti riempie di un’assurda realtà; ti ripetono che è solo altro da te ma invano, non credi, non ci riesci. Porta vergogna, ti schiaccia, deforma, trascina con sé il dubbio dell’essere. Pensiero dopo pensiero lacera il passato, lo uccide, un mostro senza testa cammina muto di fronte alle parole di un troglodita incapace di pensare. Inutile è ripetersi che quella non sei tu, ti hanno sporcato e non sai più scorgere la verità. No, tu non sei quella che dicono. Invano lo ripeti, mentre il carnefice ride sulla porta del paradiso, convinto di poter entrare, prima o poi.

Hanno rotto gli specchi.

Parola che smorza le risposte, ti fa sentire fredda mentre cerchi di immedesimarti nell’altra te, quella ch vive nella testa altrui, no, tu non sei quella che ride di altri, ma la verità si spegne prima di poter farsi suono; un colpo, e il vuoto arriva improvviso. Non ti hanno lasciato spiegare, non ti hanno spiegato. Tu non deridi ma sei stata derisa, la tua voce non è così forte e si perde tra gli insulti della vita.

Hanno tolto gli specchi.

Parola che conferma pensieri. Lo hai sempre saputo, ma la paura ti ha stretto lo stomaco, lo ha contorto fino a farti vomitare il nulla, quella parola che ha gridato il dubbio … finalmente. E dove tu vedevi emozione, si approfittavano di te. No, tu non sei quel parassita che vive sull’albero, ogni mattina ti alzi e sazi il tuo mondo, vai a caccia, da sola, di pensiero. No, non volevo e mai ho voluto. Eppure ti hanno umiliato. Hanno soppresso quel che avevi da dare.

Ricordo gli specchi.

Era come essere sempre a casa, una casa calda e accogliente che si siede accanto ad un caffè e lenisce lunghe giornate; le delusioni sembravano lontane e sbiadivano man mano dietro stupidi sorrisi; le insicurezze si tramutavano in forza sorrette da una voce calda e sincera; le gioie facevano nello stomaco salti mortali, mentre i dolori si tagliavano in due battendo in ritirata.

È stato sempre come sentirsi a casa, ma per chi? un lungo attimo, poi, gli specchi sono scomparsi. Ora grido, grido perché il mio forte sentimento e l’applauso che sempre e sinceramente ha superato ogni altra musica m’impedisce di vedere oltre.
Mostro, calcolatore, criminale, sfruttatore, derisore … no, io non sono questo, io sono altro, ma non ho più specchi.

Confido in chi si volterà altrove quando una richiesta di bisogno si perderà nel vento, il vento dell’est, il gelido soffio che ha trascinato con sé il mio grido perso nei meandri dell’indifferenza, perso tra le pieghe di parole gratuite spese a lacerarmi l’esistenza. Parole che si sono perse in una casa senza più pareti sulle quali riflettere e ritrovare se stessi.


Respira un’altra me, e non ho armi per combattere chi ha scritto il romanzo della mia esistenza, ho prestato loro quell’inchiostro che non mi è stato mai restituito.

Credo di non aver meritato tanto. Trattata come una qualunque...ma da questo lato tante ne ho sentite e viste, ora so molte verità e non sarò io a difenderti. Arrangiati. Hai chi minaccia per te.





sabato 9 novembre 2013

Perché non sarà mai un giorno come gli altri

Svegliarsi a notte fonda nel bel mezzo di un sogno e fare di tutto per riaddormentarsi e finirlo. 
Invano.


Io sono uscita per ultima, ho chiuso la porta e ho usato le tue chiavi. Quelle con la mascherina d’argento che ti comprai a Venezia quell’ultima volta che visitai la città insieme alla mia più cara amica. Ti piaceva tanto. Ho sceso le scale per seguirti un’ultima volta, ma senza cadere come feci a due anni quando ruzzolai giù per correrti incontro, ancora ne porto i segni sulla fronte e forse anche il marmo delle scale se potesse lo racconterebbe.

E così sei uscito dalla tua casa.

Tre mesi fa.



La scorsa settimana abbiamo tolto il tuo spazzolino, ma io ancora apparecchio per tre … e la mia testa è altrove. Sento la tua voce dietro quella porta, ma non so dove sei.

C’eravamo tutti, tutti quelli che ti volevano bene, tutti quelli ai quali hai chiesto silenzio e assenza, ti abbiamo disobbedito, hai ragione, ma la persona che conoscevo non avrebbe mai chiesto il silenzio.
Il silenzio non era per te, che amavi cantare; io sono quella che studiava quei tartassanti esercizi sul flauto mentre tu mangiavi dopo una giornata di lavoro; non ti davano fastidio, dicevi, ma a chiunque avrebbero scassato i timpani e la pazienza, a te no, il tuo pranzo e le mie note lunghe di riscaldamento … musica triste e faticosa per me, una dolce colonna sonora per te. E chi ci capisce …

Dopo un anno di silenzio ho ripreso a suonare, non è stato facile, né smettere né riprendere; sai cosa significa per me la musica e senza ho sofferto molto; scusa, ma dovevo dirtelo, la sincerità è stato sempre il mio grande difetto. Mi hai insegnato che bisogna essere sempre sinceri, anche se noi con te non lo siamo stati … tutti noi, ma soprattutto io, perché a me chiedevi e io ho mentito. Ti chiedo scusa, ma la persona alla quale mentivo non avrebbe potuto ascoltare quello che sapevo, è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto e non so se riuscirei di nuovo a farlo.

A pochi l’ho confessato, agli amici che sono rimasti e che chiedevano, altri avrebbero potuto ascoltare ma io sono quella forte … ricordi? E poi qualcuno è scappato via e mi ha abbandonato, questo non te l’ho detto, non era necessario, era poco importante per te, ma le persone spesso scappano quando hai bisogno di loro e non si accorgono che se stai male non fanno altro che farti stare peggio; non tutti sono in grado di comprendere i sentimenti e fino a che si fa festa ci sono, poi li fai diventare tristi e ti buttano via come fossi una persona qualunque. Io non sono così perché tu mi hai insegnato a stare vicino, a confortare un po’ meno … siamo gente timida noi, ma ad ascoltare e porgere un aiuto, sempre.

Io sono quella che ti ha accompagnato ed ha alleviato i tuoi dolori. Per questo non hai detto il tuo ciao, scusa. Hanno detto che era l’unica cosa da fare, ma non avrei mai voluto farla e poi … perché sempre io? E di nuovo … a chi lo racconto? Dimenticavo, ero io quella forte … ma il dolore e la rabbia che ho provato ogni volta era profonda ed è rimasta lì senza voce, né orecchie che ascoltassero.

Come vedi ti devo chiedere scusa di molte cose, ma penso che tu abbia compreso tutto ancor prima di noi, hai capito benissimo perché questa stupida donna era così arrabbiata con te e niente e nessuno poteva cambiare i fatti o i sentimenti. Tu sei sempre stato uno che pensa, forse pensa troppo, proprio come me purtroppo, ma siamo intelligenti e con un cuore, non ci perdiamo in stupide chiacchiere e deprimenti minacce, in falsità o umilianti sproloqui, anche se spesso ci perdiamo nel regalare la nostra fiducia. 
Siamo simili. Abbiamo cercato di concederci solo a chi ci meritava, ma non ci siamo riusciti, per noi i sentimenti prima di tutto. Tutti possiamo sbagliare e di persone cattive è pieno il mondo, lo sai tu e ora lo so anch’io.

Perché questo non me lo hai detto? Mi hai lasciato sempre decidere liberamente, poche indicazioni e via, quello che tutti i figli del mondo vorrebbero. 
Grazie.

Sei andato via prima di uscire da quella porta e non ci ho potuto fare nulla.
Scusa

Buon compleanno papà

giovedì 10 ottobre 2013

I sassolini nelle scarpe


La memoria è un mostro: tu dimentichi - essa no.
Archivia le cose, ecco tutto.
Le conserva per te, o te le nasconde - e le richiama, per fartele ricordare, a sua volontà.
Credi di avere una memoria.
Ma è la memoria che ha te.

John Irving, da "Preghiera per un amico"

Fermarsi un istante: quante persone al mondo in questo momento stanno facendo la stessa cosa che sto facendo io?
Mangiare le carote, mettere benzina, fissare il semaforo rosso, scegliere un cd.
Guardare il sole andar via e chiedersi stupidamente perché fugga dalla notte.
Una strada davanti, una via da percorrere. Contare i passi,  sognare una méta e sospirare oltre l’orizzonte. Un passo sicuro dietro l’altro, mentre l’aria si riempie dell’odore fresco di un campo appena arato, anche lui pensa al domani.
Lio amava contare i suoi passi.

uno, due, tre

ritrovarsi sola con una via da scalare, dritta su ogni ostacolo, fino a lasciarselo alle spalle, lanciando i piedi oltre ciò che era già ieri.

quattro, cinque, sei

Loro erano lì, ma ogni volta la sua mente a complotto col suo cuore costruiva alibi, arrancava su scuse e convinceva Lio che solo avanti era la strada giusta.
Lio numerava i suoi passi e pensava.

sette, otto, nove

Cercava sicurezza su quella strada, allacciava la cintura e guardava fuori, guardava in alto, guardava intorno e dentro, sì, dentro le persone. Un viaggio di passi che lasciano orme, con il desiderio di dire sempre la cosa giusta. Indossando quel suo sorriso spesso frainteso, irriso da chi non ne voleva sapere di imparare a comprendere.

dieci, undici, dodici

Le piaceva perdersi lungo quella via, tenendo fisso lo sguardo in un altrove e attraversare immaginari labirinti.

Tredici …




Ad un tratto sulla strada qualcosa non andò per il verso giusto. Sentì le scarpe riempirsi di sassi. Nessun passo avanti poteva compiere, né poteva tornare indietro, bloccata in una notte che non andava più via, a chiedersi ancora perché il sole fugga dal buio.
Quanti come Lio in quel momento?
Lio, una qualsiasi, Luna o Laltra. Lio si ritrovò con un paio di scarpe di sassi, seduta all’ultimo banco, confusa con una verde parete.
Schiacciata e calpestata ascoltava il cuore non battergli più nel cuore, ormai i battiti avanzavano e impazziti albergavano ovunque fino a toglierle il fiato, fino a voler uscire da quel corpo incapace di andare oltre. Quel povero e malato cuore …
Sbagliata e incapace, Lio, se ne stava ferma immobile e dritta sulla strada, si sentiva indegna di qualsiasi risposta, convinta ormai di non meritare più quel cammino.
Divenne parte delle ombre, invisibile a chi seminava quel campo in attesa di nuova vita, vita che scorre solo intorno.
Voleva urlare, ma la sua voce come il suo corpo era invisibile, i piedi doloranti erano l’unico grido che le era concesso e che le ripeteva di essere ancora viva, … viva per ascoltare quel dolore di vergogna, mentre continuava a mescolare le sue lacrime giuste alle sue lacrime sbagliate perché ci son dolori e dolori.
Aveva scalato una montagna Lio, si era affacciata su quella finestra, ma un mondo di plastica l’aveva avvolta.

Tredici …

Ora cercava solo un posto comodo per sedersi, togliersi le scarpe e svuotarle finalmente dei sassi.
Ma perché il sole fugge dalla notte?
Perché ha paura del buio, non si accorge che fugge dal sole, da sé, ha paura di sé, dell’assenza di sé.











giovedì 26 settembre 2013

… ti terrò sempre accanto al tempo che passa

Se mi vuoi bene, scrivimi, ti prego;
se sei imbronciato con me,

scrivimi lo stesso,
a dispetto del broncio. 
Sarà per me una grande gioia
ricevere una lettera da un amico,
anche un po' irritato.
Dunque, deciditi in fretta!
E non dire che non sai cosa scrivere. 
Se non hai nulla da scrivermi,
dimmi che non hai nulla da scrivermi:
per me è già qualcosa
di importante e di bello.

San Basilio









sarai nelle mie confuse idee che improvvisamente avranno un senso

nell’ angolo solitario lontano da un mondo che fugge via senza comprendere

nel soffio di aria quando la disperazione prende il sopravvento

sarai presenza parola sorriso avvolti nel ricordo

nella voglia di giocare con parole dentro una muta complicità

nella ricerca della forza la sicurezza e la voglia di combattere

tra le carte della mia tristezza

nelle domande di mia madre nel dolore di mio padre

senza risposta senza un perché

in momenti di vita che si rincorrono

nella voglia di raccontare

ogni volta che tornerò a casa con la voglia di parlare

quando il mondo no non lo capisci

quando io sì voglio capire

nelle parole non dette e in quelle urlate

nello strazio del cuore

in una solitudine che non c’era

sarai ieri

sei stata già domani

sei oggi dove il sempre e il mai s’incontrano

per me

solo per me

ma non per te

per gli avverbi di un tempo

in un unico fiato

per quelli che arriveranno in fondo

sm

una cattiva maestra