giovedì 28 marzo 2013

Il manifesto degli insegnanti

7 luglio 2010




E ieri sera avete cominciato a far circolare qualcosa di me...un video, un video realizzato sui 13 impegni, così mi piace chiamarli, che già molti insegnanti hanno sottoscritto e molti altri faranno. Sono una musicista, amo il mondo dell'analogico, l'arte, le immagini evocative, la musica, la poesia, la mia interpretazione è nata per vie tortuose, ma soprattutto su due piedi, un video fatto velocemente il giorno prima di partire per il Veneziacamp e finito in treno grazie ai validissimi e utilissimi consigli della mia amica Cristina. Vorrei spiegarvi l'interpretazione che ho dato ai punti. 
Ho voluto lasciare il primo così com'è, senza nulla e lasciarlo scorrere a tratti perché rappresenta per me il fondamento dell'impegno di ciascun insegnante: essere disposti a imparare, il che significa essere disposti a crescere e a riconoscere i propri errori. 

1. Amo insegnare. Amo apprendere. Per questo motivo sono un insegnante. 

La meraviglia per il mondo sa un po' di Pascoli, ma è la realtà, non si può insegnare o imparare se non c'è la curiosità in atto, la sete di sapere, di scoprire...molti insegnanti dimenticano che i ragazzi vogliono sapere e anche se così non sembra, compito del docente dovrebbe essere quello di andare alla ricerca della "meraviglia per il mondo" di chi ha di fronte, scoprire i canali giusti. Penso che l'immagine che ho scelto rappresenti a pieno questo concetto, uno sguardo che guarda in alto,verso un orizzonte senza confini.

2. Insegnerò per favorire in ogni modo possibile la meraviglia per il mondo che è innata nei miei alunni. Insegnerò per essere superato da loro. Il giorno in cui non ci riuscirò più cederò il mio posto ad uno di loro.

Noi insegnanti siamo disposti ad ammettere i nostri errori? li cancelliamo per poterli correggere la volta prossima?Lo ammetto, mi osservo continuamente quando insegno, di errori ne ho fatti tanti e ne farò...ma spesso ne parlo con i ragazzi, mi impegno sempre a dimostrare coerenza, mi impegno soprattutto a dimostrare e spiegare che l'errore è importante, non deve spaventare e non può essere punito.

3. Insegnerò mediante la dimostrazione e l'esempio, il riconoscimento dei miei errori illuminerà il mio percorso.

La scuola deve poter dare gli strumenti giusti per andare oltre, per scoprire il mondo, per poter diventare autonomi, per poter costruire le proprie conoscenze partendo dalle conoscenze che in classe qualche insegnante ti ha soffiato in un orecchio poi, fuori, i ragazzi sapranno quali sono le loro conoscenze. La figura del pesce che guizza nella casa del pesce vicino potrebbe essere riduttiva, ma se ci pensiamo bene la conoscenza nasce dall'apertura all'altro, cosa c'è di meglio che guizzare "nella casa dell'altro"? 

4. Accompagnerò i miei alunni alla scoperta della realtà che li circonda, assecondando e stimolando in ognuno di loro la curiosità e la ricerca, le domande e la passione.

La verità...confesso che l'immagine non l'ho scelta io...sigh, ma mi ha convinto: l'impronta che ogni insegnante dovrebbe lasciare, l'impronta dalla quale si parte alla ricerca della propria verità...scuola di conoscenze e competenze...spesso, in questi giorni, ho sentito parlare del fatto che i ragazzi imparano quello che ritengono gli sarà utile...un dito della mia pseudo verità. Vorrei impegnarmi per donarglielo. 

5. Non potendo trasmettere ai miei studenti la verità, mi adoprerò affinché vivano cercandola.

L'immagine del bimbo sotto il canestro è una delle mie preferite, a volte mi sento anch'io così...ritengo che la troppa sicurezza non paghi mai (anche se a volte la preferirei). Crescere significa superare ostacoli, ma oltrepassare i limiti...non vorrei parlare di motivazione, i paroloni non sono per me, sono una più d'azione che di parole...e ne ho scritte già troppe tutte insieme.

6. Incoraggerò nei miei studenti l’impegno e la volontà di migliorarsi costantemente e di non rassegnarsi mai di fronte alle difficoltà. Io stesso provvederò a formarmi e aggiornarmi continuamente. 

Scuola uguale mondo. A volte è difficile pensarlo, a volte le scuole sono così chiuse in se stesse!!! non solo per l'insegnamento, ma anche per le realtà scolastiche vere e proprie. Ho lavorato in scuole di montagna...e le montagne invalicabili non erano solo fuori...

7. Farò in modo che la scuola sia il mondo, e non un carcere.

Quando ho visto il triste gatto che il pesce ha costretto a vedere il suo mondo, ho immaginato il silenzio, ho immaginato l'immobilità, ho immaginato la stupidità, ho ricordato le mie prime lezioni in classi che non conoscevo...che non mi conoscevano "ragazzi si parte con un brainstorming"...ho ricordato ragazzi che mi guardavano perché pensavano all'ennesimo prof pazzo. Vorrei togliere il gatto da quell'ampolla. Insegnare a razionalizzare, riflettere, decidere...fino a che non faranno scacco matto, il loro scacco matto, della loro partita. L'immagine della finestra ha una storia a parte...ma non ve la racconterò: la finestra l'ho interpretata come apertura al mondo, completa apertura, ma si deve pur uscire da qualche luogo per andare nel mondo, questa finestra deve pur reggersi in qualche modo: l'insegnante deve costruire la finestra e fare in modo che dopo una piccola spinta iniziale tiri un vento di curiosità e i ragazzi siano in grado di fotografare il mondo da quella finestra, ognuno con la propria prospettiva.

8. Non trasmetterò ai miei studenti saperi rigidi e preconfezionati. La mia visione del mondo mi guiderà, ma non sarà mai legge per loro. Il dubbio e la critica saranno i pilastri della mia azione educativa.

Quanto è difficile mettere i voti. Perché! Perché non significano nulla, non si può dire che un tuo alunno vale un 10 o un 4. In fin dei conti dobbiamo insegnare a vivere, vabbè ho esagerato: a "insegnarsi" a vivere.

9. Promuoverò lo studio per la vita e contrasterò lo studio per il voto.

Ho letto il decimo punto e...ho avuto dei dubbi...ci ho messo un po' poi mi sono chiesta:"Come posso valutare, conoscere, aiutare......" risposta. SOLO ATTRAVERSO IL DIALOGO ecco allora le immagini di vita scolastica quotidiana: l'insegnante con il gruppo, l'insegnante con un alunno...gli insegnanti parlano così con la classe o si rivolgono solo e sempre alla classe? Gli insegnanti fanno parlare la classe? Credetemi, le realtà sono tante e diverse...a volte tristi...

10. Raccoglierò elementi di valutazione, rifiutando approcci semplicistici e meccanici che non tengano conto delle situazioni di partenza, dei progressi, dell’impegno e della crescita complessiva del singolo alunno.

Tengo particolarmente a questo punto, i ragazzi che si tengono per mano l'ho visto come un simbolo...solo attraverso l'altro possiamo conoscere noi stessi, scoprire quella che si chiama "zona cieca" e da questa conoscenza ripartire per il passo successivo, un percorso che forse non avrà mai fine. Affronto sempre a scuola questo argomento, l'identità, in prima ma soprattutto in seconda quando i ragazzi affrontano lo studio della scoperta dell'America. La conoscenza di noi stessi può condurre alla scelta di un cammino individuale. L'immagine delle orme sulla spiaggia non è triste, è solo esplicativa ed evocativa. Ma l'immagine che amo di più è quella del pianoforte, non perché sia una musicista, ma come avete notato è l'unica senza parole. Il pianoforte rappresenta le molteplici armonie dell'incontro tra diversità, sul pianoforte non c'è un tasto uguale all'altro eppure nel corso dei secoli e ancora oggi e in futuro vengono fuori armonie strepitose, alcune dissonanti, è vero, ma sono state insieme sullo stesso spartito con estimatori e non. Niente scritte perché...non ve lo dico :-)

11. Lotterò affinchè la scuola sia la scuola di tutti, la scuola in cui ogni studente possa apprendere seguendo tempi e tragitti individuali. Farò in modo che i miei studenti mi scelgano e non mi subiscano.

Le frecce nel tempo sono fondamentali, come importante è il continuo confronto tra le realtà temporali, l'ascolto del passato come nelle due mani che si incontrano, una per imparare una per insegnare con l'esempio e la conoscenza.

12. Aiuterò i miei alunni a illuminare il futuro leggendo il passato e vivendo in pienezza il presente. Li aiuterò a stare nel mondo così com'è, ma non a subirlo lasciandolo così com'è.
Di nuovo la necessità di uno schermo libero. Ma un ostacolo solitario e VALICABILE era il minimo. 

13. Resterò fedele a questi punti in ogni momento della mia azione educativa, pronto ad affrontare e superare tutti gli ostacoli formali e burocratici che si presenteranno sulla mia strada.

La strada da percorrere sarà lunga, difficile, ma penso che ce la possiamo fare.
Simona





RIGOLETTO, IL BUFFONE BEFFATO “L’ANTITESI IN SCENA”


Quello che mi piace in Rigoletto? Il contrasto. Ma andiamo per gradi: stiamo parlando di una delle più belle ed emozionanti opere di G. Verdi “il signor zum pa pa” soprannome che molti non conoscono, opera che insieme a Traviata e Trovatore costituisce la cosiddetta trilogia popolare, non molto apprezzata all’epoca di Verdi. Rigoletto è la conclusione di un lungo percorso che portò il compositore a raggiungere un alto grado di perfezione, perfezione che Verdi cercava nella forte compenetrazione tra musica e parole, poi portata alle estreme conseguenze da R. Wagner. Torniamo al contrasto. Portare sulla scena un buffone di corte non è gran cosa, ma se si intende scrivere un’opera seria allora scatta il sentimento, il dissidio interiore, la compassione, nel senso latino del termine cum patire soffrire con. Dove è il contrasto?

1. Un buffone protagonista di un’opera seria, la sua sofferenza causata da una triste storia passata e la vita che lo obbliga a essere un doppio di se stesso, il volto della conformità-deformità e quello del padre che vive per difendere il suo unico bene, sua figlia, la faccia bella della vita alla quale si aggrappa perché è l’unica cosa che lo fa sentire uomo
2. Gilda, la figlia combattuta tra amore paterno e amore, sbagliato, per il libertino di turno, ragazza che vive tra gli interrogativi della famiglia, non sa chi sia sua madre, non conosce l’altro volto di suo padre o il suo vero nome, ingenua e innamorata
3. Ancora contrasto nella struttura musicale: un tragico e cupo preludio seguito da una festa di corte con musiche di danza, un baritono protagonista, movimenti veloci sulla scena tipici di un’ opera buffa, lo stesso inganno ed equivoco che da Plauto in poi ha misurato i testi di ogni commediografo, i frequenti duetti dove spesso i cantanti intonano melodie contrastanti e che servono a caratterizzare i personaggi in un continuo reciproco confronto ….
Penso che questo e altro ancora faccia scattare l’ emozione e la partecipazione, ma soprattutto la consapevolezza che anche qui, come in tutte le opere di Verdi, l’infelice che cerca la felicità e il riscatto non ci riesce mai, la lotta è impari, Verdi sottolinea come niente si può contro la convenzione sociale, contro l’ingiustizia, contro il destino … e allora il duca di Mantova è e sarà sempre il libertino, figura stabile che dall’inizio alla fine ribadisce, quale eterna beffa, il suo modo di porsi-imporsi alla società.
Vorrei proporvi la summa del contrasto e insieme il pezzo più toccante dell’intera opera: il quartetto dell’ultimo atto. Premetto che in tutta l’opera c’è una sola aria (Caro nome) e non ci sono i soliti concertati finali d’atto…il genio di Verdi non voleva certo confondere questo quartetto con altri insiemi interessanto al duetto in sé in questa come in quasi tutte le sue opere (pensate che il maestro aveva preso l’abitudine di non scrivere un pezzo per volta, ma di mettersi libretto alla mano e definire subito tutto in una volta i pezzi, mi emoziona pensare a lui intento al suo lavoro che legge il libretto e oltre ad apprezzarne il testo già lo immagina in romanze, caballette, cavatine, ballate duetti, declamati, cori … da musicista è affascinante perché i musicisti hanno il cattivo vizio di fare attenzione alla musica e non alle parole…per quelle ripassiamo dopo).
Il quartetto, come dicevo, scolpisce definitivamente il contrasto della vicenda e la situazione psicologica dei personaggi: Rigoletto, Gilda, il Duca e Maddalena. Rigoletto decide che, sofferenza a parte, dovrà mettere la figlia di fronte al fatto compiuto e così mostrare il suo innamorato all’opra, vale a dire insieme a un’altra, l’altra è Maddalena, sorella del sicario della storia, che per mestiere da truffatrice sta al gioco.
Il Duca, erotismo allo stato puro, seduttore di professione intona una melodia aperta, ascensionale, dolce e seducente che a “palpitar” farebbe venire i brividi anche alla Venere di Milo … Si propone schiavo d’amore come il più perfetto degli elegiaci e qui il crollo di qualsiasi giovin donzella.
Maddalena, che deve sedurre il libertino ma che poi ne rimane sedotta, comincia a ridere e il suo canto è veloce (in semicrome) mentre la linea melodica è sia ascendente che discendente … ci gira intorno? Sta fingendo e lo sa fare bene, ma nulla vale davanti al seduttore per eccellenza che ha dalla sua Don Giovanni, il conte di Almaviva e il giovane Cherubino latin lover in erba.
Gilda ascolta parole d’amore che non sono per lei, il suo canto è disperato con una linea melodica discendente, composta da ritmi spezzati simili a singhiozzi.
Rigoletto ha a mio parere con la parte più profondamente commovente: se ascoltate con attenzione la sua melodia non si muove, mi direte che lui è un baritono e inevitabilmente deve fare da sostegno armonico, ma il suo disegno melodico è statico soprattutto perché dietro è la rabbia repressa che prende corpo. Costringe la figlia a soffrire, è furioso con il duca, magari vorrebbe urlare ma è un padre amorevole e deve reprimere la rabbia di fronte al pianto della figlia, quindi ecco la nostra melodia statica che procede a passi lenti, lenti e flemmatici come il pensiero di una riuscita vendetta. I quattro stanno cantando fino a che, esaurite le quartine ecco che torna a emergere il duca…è lui che vince sempre, siamo lì per lui, siamo stati maledetti per lui, ogni giorno scherziamo per il suo diletto, lui ha sedotto nostra figlia e per vendicarci di lui nostra figlia morirà. Così fino all’accordo finale, nel quale la voce di soprano, Gilda, sovrasterà tutte le altre e la disperazione sarà compiuta, mentre noi già sappiamo cosa avverrà anche se in realtà ancora non è avvenuto, la potenza della musica.
Quattro personaggi, quattro situazioni psicologiche, quattro tipi di andamento melodico e ritmico, ma due situazioni diverse: due personaggi in preda alla disperazione e due che fanno baldoria, il serio e il buffo, grottesco dell’opera, antitesi del testo che tanto affascina, il comico che si sovrappone al tragico.

9 agosto 2010



LA STRADA di Cormac McCarthy


“Strada” parola che può avere tanti significati, andare avanti, tornare indietro, scegliere, sbagliare, salire, scendere, perdersi, cambiare … uno li accomuna tutti: camminare. Puoi anche fermarti a riflettere, a riposare, ma finché c’è una via, un sentiero, un viottolo … una strada dovrai muoverti. Sì, ma per andare dove?  Nel libro di McCarthy sembra ci sia una mèta, una mèta reale, ma solo all’inizio. Lo scopo del cammino è un altro, è la strada e ciò che rappresenta: la ricerca di speranze, di risposte, di conferme, di un “dove” che sia la via verso un altro e diverso dove, un luogo dove l’orizzonte non sia una linea di fine ma di confine, un luogo dentro l’anima, nel profondo dell’uomo.
Due persone, un padre e un figlio, che camminano verso la speranza attraverso un mondo ridotto in cenere; ridotti a lottare per la sopravvivenza, a gioire per le cose più semplici, a fuggire i cattivi, che ormai vagano ridotti alla pura bestialità, costretti spesso all’egoismo, vanno sempre avanti cercando di non perdere le regole, brandelli di quotidianità, i giochi, il piacere di un racconto prima di dormire.
Una lunga ballata in bianco e nero, un mondo grigio dove i colori vengono fuori solo dai sogni, dai ricordi, dai desideri. Il ricordo appartiene a un padre ormai forte solo per il figlio, che vuole tenere lontano dalla malvagità … invano, il sogno e il desiderio al figlio, un figlio che spera di vedere il colore blu del mare, un bambino coscienza puntuale e drammaticamente e puntualmente incisiva dell’adulto … ormai alla deriva. Descrizioni, come lunghe strofe che narrano il mondo, le difficoltà, la realtà che i due cercano di far diventare l’altrove, dialoghi come refrain veloci scambi di battute, non c’è bisogno di spiegare quanto di confermare, che si concludono sempre in modo simile … fino a che la ballata si conclude come inevitabilmente si deve chiudere, ormai abbiamo capito che la strada se porterà in un “dove” a noi non interessa, quel dove è la conferma della speranza, del calore del fuoco che ognuno di noi ha dentro di sé. La strada porta alla scoperta che non tutto è perduto finché esiste un briciolo di bontà, o chi ci crede.
Fra echi di  Ungaretti (“se solo il mio cuore fosse di pietra” dice il protagonista proprio come il poeta nella poesia Sono una creatura) o sguardi di Quasimodo (“Gente seduta sul marciapiede all’alba, mezzo immolata e con i vestiti fumanti” per fare un esempio come in “All’ombra dei salici” )altri due sono i testi ai quali ho pensato. La volontà di non lasciarsi trascinare dalla bestialità, di recuperare-difendere regole di vita, la scelta di isolarsi mi ha fatto pensare al Decameron del Boccaccio, giovani in fuga dalla peste, ma soprattutto da un mondo senza regole, che si isolano e si danno leggi per poter continuare a vivere. Capisco che il paragone sia molto lontano nel tempo, ma chiaro emerge l’uomo razionalizzante o meno che lotta contro il male, che cerca risposte-soluzioni, che tenta di conservare se stesso e la sua integrità, mi direte momentanee o magari drastiche, che però riescono a farlo sopravvivere. Nel testo di McCarthy  c’è però anche la costrizione a volte a comportarsi come “i cattivi”, resta comunque il bambino, coscienza buona a far riflettere chi si sta perdendo.
L’altro testo che mi è venuto in mente è il romanzo di Daniel Defoe Robinson Crusoe. Un naufrago che riesce a sopravvivere grazie alle sue abilità e alla ragione e quindi a sfruttare e dominare la natura, testo contestualizzato in un’ Inghilterra del 1700 in ascesa e molto distante dal testo in questione, ma l’intraprendenza e il rapporto con la natura sono gli stessi. Ne La strada ci sono tantissime e minuziosissime descrizioni di azioni, espedienti … proprio come in Defoe, ma se in questo il mondo offre, in McCarthy il mondo ha tolto e si è ribellato,  di conseguenza diventa più difficile sopravvivere e la ricerca viene amplificata dalla grigia desolazione, da un paesaggio bruciato che non dà più nulla a chi il fuoco lo porta dentro.
Mi è piaciuto questo libro? Difficile da leggere e da comprendere, spero di aver colto una minima parte del suo significato, anche se sono convinta che non importa cogliere quello giusto, quello a cui l’autore aveva pensato. Una volta ho partecipato a una conferenza di uno scrittore, un giornalista chiese: “Ma lei per chi scrive, a chi pensa quando scrive?” (domanda contestualizzata) e lui: “Penso solo a me stesso”. Sul momento la sua risposta mi irritò, così egoista, ma poi, pensandoci, con il tempo, ho dovuto riconoscere che solo così l’arte poteva essere tale. Usare parole, pennelli, colori, note per dire ed esprimere qualcosa, e per magia recepire tante cose diverse.
Questo è un libro per sentire tante cose diverse, un libro che lascia spazio all’anima e alla mente di poter recepire cose diverse.

31 agosto 2010

mercoledì 27 marzo 2013

Maschera di un lento addio


E la quotidianità invase il giorno, lo prese e lo portò lontano, lontano da ciò che erano incapaci di dire, dai pensieri che mai più sarebbero divenuti parole, lontano, a scansare incontri, a cancellare abbracci, lontano verso una notte di monotonia e frasi consumate, convenienze e momenti uguali a se stessi nella profonda paura di perdersi per mai più ritrovarsi, nella incontenibile consapevolezza di sfamare un sentimento ormai confuso con le ombre del passato, già passato ma fantasma nel presente, guerriero che minaccia il futuro.

Pericolose sicurezze


dubbio esistenziale: perché chi abita vicino alla stazione perde sempre il treno? scusate ma...ho messo un pigiama sgualcito...

Si alzava ogni mattina alla stessa ora, aveva calcolato tutto, metodico quale era: il profumo del caffè, la doccia calda, la scelta accurata degli abiti da indossare, un ultimo sguardo di sicurezza alla ventiquattrore, ma solo per controllare documenti già contati e ricontati la sera prima, e poi fuori.

L’aria fresca del mattino sembrava sua, sembrava possederlo in un reciproco scambio di piacere inebriante e rigenerante, era lì ogni giorno ad aspettarlo, a dargli quella serenità che avrebbe custodito per l’intera giornata, fresca e rassicurante, sì, in tutte le stagioni, quando gli fendeva il volto e quando lo rinfrescava da notti insonni di lenzuola sudate.


Cosa aveva sbagliato? Cosa sbagliava ogni mattina? Si era forse fermato troppo a lungo per comprare il giornale?In realtà, lo ammetteva, c’era quella rivista di storia che lo interessava molto, era rimasto letteralmente catturato, amava perdersi in mondi passati, amava sapere. Forse si era incantato immaginando storie nascoste dietro a volti normali e sconosciuti, volti che si perdono nell’anonimato ai quali aveva cercato di dare un nome, un passato. Magari aveva osservato troppo a lungo il verde brillante e bagnato di quel prato. Catturato dal gesto gentile di un passante … lo inteneriva la gentilezza, sempre più rara. O forse si era soltanto perso nei suoi pensieri, chiusi in un mondo tutto suo.


Quella mattina il treno era passato e lui non lo aveva preso. Lo aveva perso.

Come ieri, come l’altro ieri … aveva dato per scontato che sarebbe riuscito a prenderlo, era lì, a due passi, vicino come ogni giorno, promessa mantenuta di passare all’orario stabilito e lui … lo dimenticava, si perdeva in se stesso e puntualmente lo perdeva.

Era lì e lo perdeva. Era una sicurezza e lui lo dimenticava. Lo aveva dato per scontato e il treno era passato.

Cambiare


ho trovato un angolo, era nascosto, ma c'era; pieno di polvere e ragnatele .... l'ho pulito e c'ho piantato una bandiera

Aveva deciso di mettere un punto. Un gran bel punto, di quelli che ci ripassi la penna sopra finché l'inchiostro non formi una enorme macchia o un buco nel foglio. Un punto deciso, forte. Dopo un punto si va a capo, così la maestra le aveva insegnato e sempre ripetuto quando nei suoi testi di bambina sbagliava a usare la punteggiatura. 

Se cambi discorso e vuoi inserire una pausa forte, lunga, un lungo respiro, allora metti il punto e vai a capo, inizia poi un nuovo discorso

cambiare...pausa...punto...a capo.....................nuovo


Per mettere un punto avrebbe dovuto chiudere un "discorso" precedente, non era sicura di averlo fatto, un discorso ha lunghe e intricate fila...il tempo gioca a tesserle e annodarle, troppi i discorsi, troppi i fili e i nodi...ecco perché si dice dare un taglio netto al passato! cavolo! non ci aveva mai pensato...taglio...già aveva più paura di quel punto deciso.

Voleva però andare a capo, ricominciare, troppe volte le avevano detto che era brava a gettare la spugna...non la conoscevano, questo pensava, gli altri non la conoscevano, faceva sempre di tutto per superare il suo limite, sprofondava letteralmente nei suoi progetti e la sua mania di perfezionismo le divorava lo stomaco, una morsa che ti accalappia il ventre mentre cammini su un filo...gran brutta sensazione. No, andare a capo sarebbe stato facile, ricominciare.

Una pausa? quanto dura una pausa? ricordava, da antiche reminiscenze, che in musica la pausa ha lo stesso valore delle note e insieme creano armonia, una composizione di giuste proporzioni dove nulla eccede e nulla manca...allora una pausa nella sua vita era più che legittima! sì, nulla poteva eccedere, nulla mancare, una pausa avrebbe avuto il valore di un pezzettino di vita e creato l'armonia di un'esistenza. Sapeva tanto di giustificazione. Era stata sempre brava a giustificarsi, la sua faccetta tranquilla e affidabile le dava man forte e le riusciva bene, tanto che non sapeva più neanche lei quale fosse la verità..........no, non diceva bugie, le odiava, da sempre, ma creava solo scuse, sfogo di razionali pensieri e rimugina-menti che usava per convincere se stessa  a fare o non fare.

Ma quanto sarebbe dovuta durare questa pausa? Dato che andava bene, quanto avrebbe voluto...forse.

Cominciava a rifletterci su...

Poi...sarebbe stato possibile tornare indietro?

Sarebbe stata disposta a tagliare di netto?  non avrebbe potuto ricucire questo taglio, un taglio con la sua vita 1 per passare alla sua vita 2...

Quanto di oggi era il suo ieri?

quante domande, poche risposte o forse risposte che facevano paura... 
era pronta davvero a cambiare?

no
c'era qualcosa che non era disposta a cancellare 

si rendeva conto che stava cercando qualcosa, qualcuno e non lo avrebbe trovato davanti, domani, se non avesse rovistato nel passato

la sua voglia di mettere un punto nasceva dalla voglia di ritrovarsi, riscoprire quella che aveva dimenticato in un angolo buio del passato
ma quando si era persa? non lo sapeva più

decise che l'unico modo era riscoprirsi, scovare quell'angolo perduto e ritrovarsi, farlo suo, accogliente, rassicurante e accomodarcisi ogni volta che aveva dei dubbi, lì, l'altra sé l'avrebbe aiutata a cambiare per restare la stessa

decise che un punto e virgola sarebbe stato più che sufficiente.

L'appuntamento


ho rifatto l'abbonamento al cervello...

Erano giunti alla resa dei conti, tutta una vita a far valere le loro ragioni, ragioni del cuore, ragioni della mente...senza mai conoscersi, ragioni che non erano mai le stesse, sconosciute, diverse, tutta la vita a combattere, ad alternarsi e mai nessuno era riuscito a vincere definitivamente.

Decisero che era ora di finirla e si diedero un appuntamento.
Si sarebbero dovuti incontrare nell'oggi e nel qui, puntuali.

Il Grigio, così chiamavano tutti Cervello, arrivò per primo, mentre il Rosso, Cuore, si fece aspettare, sempre in ritardo come al solito preso dalle sue eterne e sentimentali tiritere, imbrigliato dalle emozioni, frenato dagli stupori...coi battiti accelerati.

Il Grigio arrivava sempre puntuale, sceso a patti con lo stomaco, che ormai si era rassegnato alle possibili ulcere, doveva arrivare sempre puntuale. Ma ora e qui, mentre aspettava Cuore, successe quello che raramente era accaduto prima, forse due sole volte nella sua vita protetta e misurata: perdersi nei ricordi cerebrali.

Di ricordi ne aveva, molti, ma era solito archiviarli, contarli,  mai modificarli, erano sempre intatti...Rosso qualche volta cercava di interferire, ma lui imperterrito lo combatteva, soprattutto non ci pensava mai a quei ricordi, fatti archiviati ormai vissuti, restavano anonimi. 
C'era però un ricordo particolare del quale aveva paura, solo un'altra volta era riaffiorato dall'archivio muto e insensibile della mente, nell'ora e nel qui tornò a bussare per disorientare il Grigio...

Le immagini riaffiorarono alla mente, si fecero nitide, e un brivido scosse il suo corpo...
anche quella volta aveva un appuntamento, c'era una decisione da prendere, anche quella volta non era in ritardo. Correva tra quelle vie tortuose, cunicoli senza fine, lo aspettavano, era stanco, correva e continuava a correre, sudare, continuava a guardare l'orologio, a calcolare il rapporto tra la frequenza del suo passo e i minuti che mancavano ancora, quando accadde.
Sentì una specie di calore salire da non so dove, poi lo vide distintamente, caldo, denso, rosso, sì rosso...di quel colore conosceva la definizione, lo aveva visto, ma mai percepito con tutti i sensi, mai ne aveva sentito l'odore, il sapore, la forza.
Correva. Continuava a mettere un passo dietro l'altro ma non riusciva più a calcolare i minuti, i secondi, a contare i suoi stessi passi...il pensiero si fuse coi sensi...stava rallentando smarrito nei pensieri e fu allora che quel rosso gli sussurrò piano: 


"Corri, perché chi ti aspetta potrebbe essere dispiaciuto, preoccupato...potresti fare del male, tra le righe dei tuoi freddi pensieri spunterà sempre un rimpianto, verrà fuori una nostalgia infinita, qualcuno ha bisogno di te, ma senza di me non potrai aiutarlo"


Credeva, aveva sempre creduto, convinto in questo, di essere forte, tutto era al sicuro e sicuro, contare, calcolare, archiviare, stendere liste...ma quella volta si era perso per un attimo, sconvolto sì, ma dolcemente perso nel fiume in piena di quella sensazione...tornare indietro, in sé, non era stato affatto semplice, un dolce amaro lo tratteneva, lo respingeva tra le fessure di quel colore intenso, sofferenza ma anche pienezza. 


Aveva saputo finora cosa fosse la vita? Perché ora questa domanda?


La storia si ripeteva, Rosso tardava e Grigio ricordava...combatteva con se stesso, cercava di scacciare quel pensiero che inconsciamente riaffiorava perché più forte, più intenso, lo sentiva pervadergli il corpo, impossessarsi di lui, catturarlo con i suoi artigli pungenti.


Quando ad un tratto arrivò Cuore, ma non era come se lo immaginava...


- Scusa il ritardo - disse col fiato grosso - ma sembra che le persone abbiano sempre bisogno di me.
- Non preoccuparti - finse Cervello con tono serio e autoritario, sebbene a malapena riuscisse a parlare - basta che ci sbrighiamo, anche io sono molto richiesto, sai?


Le cose cominciavano male, il confronto iniziava sul piede di guerra, la convinzione di entrambi di essere indispensabili non era un buon inizio per potersi confrontare e incontrare a metà strada.


- Allora, credo che ci si possa incontrare a metà strada...sono disposto a cederti il passo qualche volta, io comprendo che la mia presenza a volte possa portare ad estreme conseguenze, ho bisogno di te, sì, lo ammetto, ho bisogno di te, Grigio, non posso permettere che le persone si perdano nei sensi, in azioni spontanee, in frasi sconsiderate, lontane dalla realtà, non posso permettere che dicano ti amo, ti voglio bene, ho bisogno di te...senza pensare affatto. 


Aveva parlato tutto d'un fiato, ancora spossato dalla corsa. 
Scese il silenzio, qualcosa non tornava, una strana sensazione invase i due, strana e diversa...


ti amo...ti voglio bene...ho bisogno di te...


Cuore si chiese come avesse fatto a proporre tanto. 
Non si poteva annullare la grandiosità di quelle parole. 
Quando le si pronunciava uscivano con forza dal cuore e non dalla mente, come a compimento di un sentimento profondo e sincero, come un'esigenza svelata impaurita di pronunciare per non far svanire, per annullarne la forza. 
Non era poi così facile dire. Il Grigio ci avrebbe messo lo zampino...come al solito e come al solito spettava al Rosso sfogare il sentimento del rimpianto...
il Grigio avrebbe detto: Non sei ricambiato...attento, pensa...
il Rosso sarebbe stato lì, ancora una volta a soffrire...


- Io non scendo a patti, ho sempre ragione e i patti non fanno per me, non può vincere il sentimento, non si può vivere un'esistenza tra l'amore e il dolore, la passione e l'odio, la felicità e il rimpianto, e se il mondo non ricambiasse? come si fa a non pensare a chi non ricambia, a chi non sente allo stesso tuo modo, come? NO! no...no...no...no.........e l'eco di quei no cominciò a perdersi...


Si ascoltava ragionare, si ascoltava come se quel che usciva dalla sua bocca grigia e senza sostanza fosse altro da sé ... impaurito si ascoltava, e ora, e qui...dubitava.


Chi vinse quella volta non lo sappiamo, come sconosciuto resta ancora chi abbia ragione, a noi è dato riflettere e sentire, ma ci piace pensare che entrambi abbiano vinto, ogni tanto vince il Rosso, poi rispunta il Grigio in un'alternanza infinita...si sa solo che da quel giorno non ci furono più appuntamenti.

Saluti e baci


Qualcuno un giorno di non so più quanto tempo fa mi aveva dimenticato. Una vita insieme, pensare, riflettere, tornare, rievocare, imparare, guardare, soffrire, gioire e poi ... senza un motivo, era sceso da quel treno, abbandonando le cartoline di una vita

saluti e baci...


Ricordo ancora quel momento, l'ansia per il viaggio, l'attesa frenetica della partenza, l'attimo in cui, colma e soddisfatta, carica di ricordi, emozioni, aspettative, nostalgie e rimorsi ... una serie infinita di fotografie del passato, ho visto chiudersi su di me il limite. Era forte, solido, un resistente confine col mondo, niente e nessuno lo avrebbe distrutto, niente lo avrebbe oltrepassato se non per esserne accolto, come era sempre stato.


Era una mattina d'inverno, alla stazione faceva freddo e la nebbia copriva i binari che sembravano correre verso l'infinito, in un altrove indefinito, ma altro da qui, in quel momento non sapevo dove sarebbe andato il mio viaggio,  come avrei mosso i miei prossimi  passi. Non avevo il minimo sospetto di una fuga. Il treno era pieno, c'era un calduccio confortante, il mio posto era lì, in alto, al sicuro, da lì avrei dominato il mondo, bella sensazione, mi rasserenava.


Il lento mormorio delle rotaie mi fece addormentare, nella quiete e nella serenità di essere lì, insieme a qualcuno che aveva deciso di portarmi con lui,  che mai avrebbe pensato di disfarsi del suo passato, di quello che aveva vissuto, tante storie, infiniti ricordi che ora ballonzolavano nel tranquillo snodarsi verso un luogo lontano e diverso. 


Aveva riposato nella convinzione della sua sicurezza, ma si era illusa; molto tempo era ormai passato ed era ancora lì, su quel treno, capace, ora, di raccontare altre storie, le sue.

A volte tornava a chiedersi come potesse assere accaduto...come si poteva decidere di dimenticare, lasciare, tagliare...dove si trovava tale forza, così tanto coraggio...eppure era accaduto.

Spesso il treno correva veloce; fermate brusche, scossoni, curve rapide, in quei momenti restare in bilico era molto difficile, la vita filava via e bisognava tenersi, aggrapparsi, ma soprattutto stare attenti a non perdere niente...a volte era talmente debole che qualche ricordo qua e là era riuscito a fuggire via, un volto, un sorriso, un nome...raramente una lacrima.


Perché? Mi chiedo perché devo continuare a conservare tutto questo caos che non è il mio? Ma in fondo ha rinunciato a me, un taglio netto!


Presto si era resa conto che nessuno, nel caos, faceva caso a chi viaggiava da solo, qualcuno la urtava, la spostava per far posto ad altro, talvolta aveva ceduto il posto a chi, stretto ai suoi ricordi, faticava a tenerli in vita...


Di nuovo, è successo di nuovo, il viaggio verso non so dove è lungo, e sono di nuovo in piedi...chi decide quali ricordi sono più importanti?...nessuno rispetta i ricordi abbandonati, senza nome, senza paternità, destinati all'ultima meta: l'oblio. Scansati da memorie forti, presenti.



L'ultima stazione si fa a volte più lontana, il tempo sembra fermarsi quando scende il buio e la carrozza si svuota,  tutti gli altri hanno trovato un dove, allora le storie si fanno spazio nell'ordine e il passato chiama a raccolta i pensieri ... ma da sola, piccola memoria abbandonata vedo intorno i posti vuoti di un teatro di periferia, invidia di folle che coprono la tua debole voce.

Scendere? Ci aveva provato, tante volte, aggrapparsi a una mano amica, furba e furtiva e andare verso un'altra incognita meta, ma un sorriso l'aveva sempre ritirata su, da una porta, da un finestrino.


Ho combattuto fino alla fine e non sapevo perché o per chi, ho lottato affinché tutto rimanesse al suo posto, mi sono aggrappata al mio percorso facendo posto alla strada davanti a me; qualcosa ahimè l'ho perduto, forse non era così importante, forse non perderlo non dipendeva da me, ma solo dai momenti, dalle sensazioni che vivono negli istanti e ho dovuto lasciarli andare, farli scendere in stazioni solitarie...ormai quei momenti erano passati e non potevano più vivere.

Non è stato facile ... spesso i curiosi varcavano il confine rompendo con forza i margini...

Di chi è? Chi l'ha lasciata qui? Cosa c'è? Cosa è? 


e via fuori una giornata al mare

fuori una gita scolastica, il primo giorno di scuola, un abbraccio della mamma, una carezza della zia, uno schiaffo del papà ... la morte della nonna...tutto questo è fuggito senza alcuna ragione
non so a chi dovrò renderne conto

Una meta? 


Puntualmente vado alla ricerca del biglietto, con la strana presunzione che lì ci sia scritto dove sto andando, cosa devo fare, a volte lo trovo ma non capisco … il viaggio è di sola andata, ma quel pezzo di carta non riporta la destinazione continuo così il mio viaggio e il mio lavoro di sempre


altre no, non ritrovo il biglietto e viaggio nella paura che passi il controllore, il controllore della mia vita, mia? non so, in quella stazione ero andata come custode di una vita altrui...


Dai finestrini vedo correre il paesaggio, a volte si riesce a mettere a fuoco qualche particolare, altre fugge via, disinteressato o consapevole che tu non hai proprio voglia di osservare. Lui corre via, scorre e tu, recipiente traboccante e caracollante, scorgi la tua immagine riflessa sul vetro e in quei momenti ti vedi vivere, come se quello che vedi appartenesse a qualcun altro, respiri su quel vetro e l’immagine di te si dissolve e pensi che forse così ti vedono gli altri … tu li osservi vivere ma non pensi che loro facciano altrettanto, confondendoti con il mondo che corre, convinti che tu corri insieme a lui mentre ti trascini dietro questo enorme recipiente sempre più pesante. Ma chi sono ora?
In fondo il treno compie il suo viaggio ma dentro è rimasto tutto lo stesso, non è cambiato nulla, nello stesso spazio neanche ci si è accorti che il treno si è mosso così velocemente. Mi chiedo se una mosca che vola dentro un aereo sia consapevole di volare da un continente all’altro e non solo dentro uno spazio ristretto … ma ci sono le mosche in aereo?
Questa vita altrui è diventata mia, anche se non so cosa ci sia qui dentro, niente mi sembra cambiato, qualcosa perduto, ma il biglietto è di sola andata e solo la mente o il cuore si può concedere il permesso di guardare indietro … sul treno non proiettano film.

Forse un giorno troverò chi mi dirà dove vanno a finire i ricordi quando si decide di dimenticare, io sono solo una semplice scatola abbandonata o dimenticata su un treno.