sabato 18 maggio 2013

ACCODATI!


Se un maglione non entra più nel cassetto o fai ordine o lo metti in un altro cassetto. 
-         Ma dove sono?
-         In un altro ... armadio

Mi hai detto ACCODATI ed ho capito quanto valessi per te...

Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin
Prima o poi l’avrebbe distrutta quella sveglia. Quella orribile, panciuta, puntuale, assordante, orripilante sveglia mangia minuti. Possibile che il tempo alle sette di mattina trascorresse più velocemente?! Soprattutto quella mattina poi, aveva più sonno del solito e un gran mal di testa. Sentiva le tempie pulsarle e gli occhi non volevano proprio saperne di guardare il mondo. Eh sì, aveva esagerato alla festa del giorno prima, lo doveva ammettere, ma ne era valsa la pena, non riusciva a ricordare quando era stata l'ultima volta che si era divertita così tanto. 
Nonostante tutto avrebbe dovuto ricordare di comprare un’altra sveglia, va bene la festa esagerata, ma svegliarsi con quel chiasso le avrebbe rovinato tutta la giornata, se non la settimana ... Avrebbe dovuto comprare una di quelle svegliette discrete che si fanno a malapena sentire all’ ora concordata, solo con un tenue cinguettio, dolce suono che l'avrebbe accompagnata con grazia fuori dalla sua calda cuccia notturna. Si fece un promemoria, o per lo meno tentò di farsi un promemoria ... ma le palpebre si stavano facendo di nuovo pesanti, e ... e ... nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
Quel giorno no! Doveva fare una marea di cose che l’avrebbero tenuta occupata per l’intera mattinata.
Uffa!
Doveva alzarsi.
Colazione, bagno, e il ricordo della festa che pian piano riaffiorava nella mente cercando di addolcire quel mal di testa martellante. Ele e Taty, ... risate, ricordi, un porto sicuro, caldo, bello ridere insieme, condividere i racconti di giorni solitari, nei quali non avevano potuto incontrarsi, scambiarsi idee, ... costruire insieme momenti ... bello, bellissimo!
Avrebbe affrontato la giornata con il cuore appagato, sazio di momenti preziosi, che l' avrebbero cullata per un bel po’ e accompagnata in un lungo e noioso tour.
A quanto pare il mondo fuori non aveva fatto una piega, la notte lo aveva lasciato indenne e il mattino lo aveva ritrovato come prima. Il cielo era lì, la strada pure, i lampioni, le strisce pedonali, il semaforo, la farmacia, i passi di chi ha fretta, i salti di chi è allegro, la camminata misurata di chi è pigro o magari solo calmo, il dondolio del suo amico cane zoppo, i fiori dei balconi, l’acqua della fontana, il vento di primavera (...c’è sempre il vento nei miei racconti...lo faremo soffiare forte un giorno). 
Insomma, tutto era al sicuro, niente l'avrebbe messa di fronte a scelte, novità, cambiamenti, turbamenti ... non si sarebbe dovuta preoccupare. Sì, perché doveva riconoscere a se stessa, ma solo ogni tanto, che non era proprio il tipo calmo e sicuro che tutti vedevano da fuori, l’ansia di fronte all’ imprevisto diventava la sua cattiva consigliera, anche se poi adattarsi era un attimo ... facciamo due, di attimi. D'altronde la vita l' aveva messa di fronte a mille difficoltà e aveva imparato presto ad adattarsi.

Era nata così, dire che si era sentita sempre a suo agio era troppo, spesso per lei era stato un vero problema, soprattutto davanti ai suoi simili ... gli altri. Gli altri che dopo qualche sguardo in più, una mezza risatina nascosta tra i baffi, la lasciavano stare, in fondo non faceva differenza per loro. Uno scherzo della natura, questo era, solo uno scherzo della natura, un piccolo difetto di fabbrica a cui neanche faceva più caso. E viveva così, tra un’autostima traballante e il rischio di qualche risatina in più.
La mattina avanzava e il tempo correva.


Prima tappa: supermercato.
Quel sabato il supermercato era affollato, come tutti i fine settimana. Doveva comprare una marea di cosette e sempre tutto di corsa. Arrivò alla cassa con un carrello strapieno, aveva preso talmente tante scatolette che quasi non riusciva a vedere dove andasse. Dopo una lunga, anzi lunghissima fila finalmente era arrivato il suo turno, spinse il carrello avanti e cominciò a depositare i suoi acquisti sul nastro quando si accorse ... ma come non vederla prima? La sua amica Ele era alla cassa.
Ele era sempre stata dolce e disponibile, di scarse manifestazioni d’affetto, ma sempre presente quando aveva avuto bisogno di lei. Lavorava da qualche anno come cassiera in quel supermercato e da allora la sua vita era serena e felice, dopo anni passati alla ricerca di un lavoro. Era un po’ grassottella, lo era sempre stata, e il suo lavoro non l’aiutava di certo, amava la buona tavola, mangiare in buona compagnia, divorava di tutto e a tutte le ore. 
Ele allungò la sua lunga proboscide e avvicinò gli acquisti della sua amica alla cassa. Era stranamente taciturna, forse era stanca, neanche la guardava, non l'aveva riconosciuta? eppure si erano viste la sera prima! Ma no ... magari era indaffarata o forse non voleva far vedere che dava troppa confidenza ai clienti. L’assecondò. Anche se quel silenzio un pochino la faceva pensare, si arrese alle circostanze, non riuscendo completamente a digerire la sensazione di essere stata “non riconosciuta” di proposito. Pagò il conto e cominciò a riempire le buste di scatolame vario. Proprio mentre si accingeva a riempire la quarta busta, un lampo! o nooooooooooooo! aveva dimenticato il sapone! Sarebbe dovuta tornare indietro a riprenderlo, ma soprattutto rientrare nel supermercato e rifare la fila, perché ormai aveva oltrepassato la cassa. In un ultimo estremo tentativo cercò di vincere quella inspiegabile indifferenza “Scusa Eli, ma ho dimenticato di prendere una cosa, devo assolutamente rientrare e ...”. Fu in quell’istante che la sua amica barrì un verbo, quel verbo che lei odiava da sempre e che in quel momento ebbe il sapore di un insulto. “ACCODATI” disse l’enorme pachiderma appollaiato dietro la cassa. E neanche aveva alzato lo sguardo! Non voleva più riconoscerla? Impossibile, ora sembrava veramente impossibile! Inspiegabile! Cosa era successo da ieri sera ad oggi? Alla festa  Eli le aveva raccontato tante cose, segreti, dubbi, problemi, le aveva chiesto consigli, le aveva parlato apertamente e lei, sempre ad ascoltare, le aveva dato consigli col cuore in una mano e la ragione nell’ altra, era così che ad Eli piaceva, uno sguardo fuori complice e razionale allo stesso tempo.
Quella risposta era stata peggio di una doccia gelata. Aveva sentito un forte sentimento di esclusione, patti non rispettati, parole false, dubbi confermati...
Accodati...accodati...accodati la parola le martellava il cervello facendo di nuovo posto al mal di testa appena dimenticato. In fondo le chiedeva solo di aspettare un attimo e di non farle rifare quella interminabile fila!
Eli aveva compreso il senso reale di quella risposta? Sapeva quanto la scelta di quel verbo la ferisse? Non seppe rispondere a queste domande. La sua amica l'aveva offesa colpendola dove faceva più male, incosciente o no lo aveva fatto, facendola sentire una nullità. Prima con l'indifferenza poi con la scelta del verbo.
Rimase nel dubbio e senza il sapone. Prese le sue buste e se ne andò.

Seconda tappa: Ufficio Postale.
Quella sveglia maledetta le aveva rovinato la giornata, quel drin era stato presagio di cattivi incontri, lo sapeva, lo sapeva da tempo che quella sveglia avrebbe dovuto gettarla via, annunciatrice di giornate disastrose. Sveglia! E meno male che alcune volte si svegliava da sola! ... quel drin, quella mattina, la stava svegliando proprio per bene.
Cercò di non pensarci, pronto per la prossima tappa della giornata, così tornò al quel sabato strapieno come tutti i giorni di libertà, nel quale si accumulavano pensieri e impegni.
Spinse la porta a vetri dell’Ufficio Postale ed ebbe subito la certezza che avrebbe trascorso almeno una buona mezzora lì dentro, tra scadenze, pagamenti, pacchi e pacchetti, moduli e francobolli ...
La sua speranza in verità era anche un’altra: proprio alla posta lavorava Taty, amica di lunga data, forse con lei avrebbe potuto parlare di Eli e di quello che poco fa era accaduto al supermercato. La fila, però, non la faceva ben sperare, la sua amica non avrebbe potuto dedicarle molto tempo in quell’ affollata mattinata.
Doveva riempire un semplice modulo per una richiesta, roba da poco, ma aveva il numero 44 e lo sportello era sovrastato da un lampeggiante e rosso 30! Si sedette pazientemente. Non voleva pensare ad Eli, ma la sua testa non le diede altra scelta. Abbandonata, questa era la definizione giusta. Si sentiva così, e poi...quella parola...i suoi amici sapevano che la sua autostima viveva in bilico, era facile darle un colpettino e buttarla giù, convincerla che non valeva niente e che era solo una fallita guardiana di zoo. Fare la guardia era il suo mestiere, solo quello sapeva fare e aveva sempre fatto, nonostante tutto e tutti, sfidando problemi e insicurezze. Ogni giorno lottava con se stessa, cercando motivi che la convincessero che era brava nel suo mestiere, che sapeva fare quello che faceva, che aveva scelto di fare, mestiere per il quale aveva lottato e non poco.
44
Venne il suo turno. Recuperò il modulo compilato dalla tasca, si diresse verso lo sportello e proprio in quel momento si accorse dell’errore che aveva fatto...Aveva sbagliato modulo! Ma una! C’era, dico, una cosa sola che gli potesse andare bene quella mattina?
Maledetta sveglia!
Taty la guardò interrogativo da dietro i suoi spessi occhiali, non le rivolse la parola, neanche la salutò, la guardava e basta. Stava succedendo di nuovo ... ma ... si era veramente alzata quella mattina o stava sognando?
Incurante dell’ennesima strana reazione “Scusa Taty – disse – ho sbagliato a riempire il modulo, ero distratta, posso averne un altro e riempirlo velocemente?”. 
Il mondo cominciò a girare, l’Ufficio Postale non era più lo stesso, i numeri impazzirono in una girandola di colori e geometrie varie, vedeva montagne di moduli volteggiare sulla sua testa, mentre una strana indifferenza dominava le persone abbarbicate sulle panchine o in fila in attesa del proprio turno. 
Possibile che non vedevano quello che stava succedendo?
Taty, un' amica sincera, ma molto distratta; da sempre aveva avuto problemi agli occhi, non ci vedeva molto bene ed era costretta ad indossare occhiali dalle lenti molto spesse. I suoi occhi ti scrutavano a lungo sgusciando furtivi e minuscoli da uno sguardo curioso, che ogni volta ti dava l’impressione che Taty ti guardasse sempre come se non ti conoscesse. Viveva in un piccolo appartamento ricavato in uno scantinato, era buio, ma i suoi occhi non avrebbero potuto resistere a troppa luce, quindi, nella sfortuna, era stata fortunata. La cosa che stupiva di più era che l’impressione del suo sguardo interrogativo e confuso rispecchiasse poi quel suo carattere così spontaneo ma anche molto distratto, dimenticava facilmente ed era perennemente in ritardo. Quindi, quando lì, in quell’ ufficio sovraffollato di gente stufa e col pensiero altrove, la nostra amica sentì di nuovo quella parola riempirle la testa, all'inizio pensò veramente che Taty non l'avesse riconosciuta, era possibile viste le sue condizioni, poi...quando alle sue continue richieste la risposta fu sempre la stessa, non voleva proprio credere alle sue orecchie.
ACCODATI
Avrebbe voluto chiedere alla signora vestita di bianco con le ali ripiegate su se stesse, se avesse sentito anche lei la parola di quella cieca talpa con la faccia a due centimetri dal pc. Non lo fece. Non chiese niente a nessuno, perché nessuno avrebbe mai potuto rispondere. Ognuno pensava ai fatti propri, e in quel momento erano tutti concentrati a sbrigarsi, volevano uscire da lì.
Sola. Questa volta si sentiva sola. Ebbe il forte desiderio di andare a cercare uno specchio, voleva esser certa di esistere, di non essere trasparente. Il solito pizzicotto non avrebbe funzionato, non sarebbe bastato, neanche ci provò.
Accodati ... accodati ... accodati
Non ce la poteva fare, sicurezze che si trasformavano in parole al vento, messa da parte, dimenticata, si doveva arrendere a chi non vedeva o non capiva.
Anni nei quali si era sentita data per scontata.
Decise che per quel giorno, avrebbe chiuso lì la sua giornata di impegni. Il rischio che qualcun altro avrebbe potuto sbatterle in faccia indifferenza e offesa era grande e non lo voleva correre.
Quella maledetta sveglia! La prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato buttarla via, sì, doveva farlo, doveva impedire che altri le dicessero che era ora di svegliarsi e cominciare a svegliarsi da sola.
Trascorse tutta il giorno nascosta in una nuvola di folta nebbia, galleggiando tra pensieri e domande senza risposta. Ormai non credeva più in se stessa, l’offesa era stata lanciata, da chi? Da chi credeva un porto sicuro. Chi aveva fatto finta di non conoscerla, chi, senza pensare o con consapevolezza, le aveva detto con indifferenza ACCODATI, a lei, un cane senza coda.



venerdì 3 maggio 2013

Il mio silenzio



[...]  Invece ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi.
Gli amici veri, pochi, uno ?
sanno ascoltare anche il silenzio,
sanno aspettare, capire.
Chi di parole da me ne ha avute tante
e non ne vuole più,
ha bisogno, come me, di silenzio.
Alda Merini, Ho bisogno di silezio

Arriva all’improvviso come un temporale estivo. La terra è calda di sole, il mondo tace e riposa, un tuono taglia il cielo e comincia a piovere; piove forte, l’acqua strappa i timpani di un mondo addormentato, è violenta, è necessaria ... la polvere si placa e un forte odore di terra riempie le narici.



Fa paura il mio silenzio. Non ci sono parole, ma solo pensieri. Il mio silenzio fa paura.

Si riempie di me, cammina adagio, naviga in acque solitarie, fronteggia la superficialità della parola.

Arriva quando non è necessario dire, quando altro di me comunica col mondo, arriva quando è inutile dire perché altri non ti ascolteranno, arriva quando la parola ha bisogno di coraggio e non può esistere povera di pensiero e di tempo, umile, leggera, senza il peso di una lunga meditazione, arriva perché non è giusto riempire sempre gli altri di noi. Arriva, ma non so quando andrà via.

Il mio silenzio è una risposta e quando risponde blocca il fiato e il cuore ti confida che in quel momento vorrebbe essere altrove e lasciarti solo. Solo con te, solo in quell’assenza, che ha dimenticato come si fa a parlare e lotta con chi l’ha sempre odiato e temuto. Si impone perché sente il dolore paralizzare il giorno ... e la pioggia scenderà più prepotente, mentre i vetri già iniziano  a piangere spingendo lo sguardo al di qua, impedendogli di fuggire.

Risponde a chi crede di conoscere la verità, risponde a chi urla menzogne, risponde a chi non comprende o non ha il desiderio di farlo, o a chi non l’ha mai fatto sicuro del contrario. Risponde alle minacce, le minacce di fare silenzio, obbedisce, ma è ormai tardi per comprendere, per tornare indietro, per perdonare, per spiegare.

Al mio silenzio risponde il silenzio. Si sente dire che è un silenzio infantile ... ma infantile è chi non ha il coraggio di comprendere, quel muro supponente che non comprende parola o pausa.

Il mio silenzio trasforma le certezze in dubbi, allunga le ore, svuota i momenti di risate, logora chi vuole parole ma è incapace di dirlo, questo hanno detto di lui.
Allora si riempie di rimpianto, il rimpianto delle cose non dette, delle emozioni non sentite, dei momenti non catturati, si riempie ma non vuole farlo, schiavo di chi ha pensato e detto per lui, schiavo di chi per dispetto lo ha sfidato col silenzio, il suo nemico adolescente mai cresciuto, incapace di comprendere che il silenzio è altro da lui, incapace di rispettare, incapace di aver fiducia, incapace di star fuori, per un momento solo, dal mio mondo.

Il mio silenzio ha mangiato troppe parole, troppe menzogne, troppi insulti, vorrebbe trovare il fiato sufficiente, ma in quel negozio ha trovato solo un povero, vecchio asmatico verbo ...