venerdì 21 agosto 2015

Fuori metafora 2: incomprensioni

... e il tempo passa, passa ma si dimentica di far pulizia, di portare tutto via con sé,
ancora avido di speranze,
dovrò consolarlo e convincerlo della cattiveria del mondo




Non c’è stato mai un momento preciso in cui tutto aveva inizio, non accadeva mai così, i momenti scavavano dentro fino a costruirsi da sé, cumularsi, capirsi, arrovellarsi per poi, infine, esplodere. Il dolore ha logorato un animo forte, così credeva di essere, la sua energia veniva da fuori, una combinazione di parole amiche e di un passato, quel passato che lima il carattere e i sentimenti, indica cosa fare, come soffrire o come ridere, una combinazione. Parole amiche e passato.

Non c’è stato un momento preciso in cui la bilancia pesasse più da una parte, rendendo l’animo resistente e leggero, tanto leggero da farlo volar via. A passi lenti l’animo non ha retto più e gradualmente la forza richiesta è diventata tristezza. Il peso del dolore, quel male di morte, di attese, di malattia, di incomprensioni, accuse, promesse  è diventato obeso, si è dato appuntamento tutto in un grande sacco e … In quel momento non ci si accorge di nulla, un animo imbattibile che sapeva curarsi da sé si è gonfiato di dolore, quel male che chiedeva di essere diviso in due, ma, novello debole, non ha saputo farlo.

Non c’è stato un momento preciso in cui la tristezza ha iniziato a non voler sorridere più, non ce la faceva e basta e ad ogni richiesta di sorriso non capiva, non capiva perché gli altri non comprendessero più l’impotenza di un animo triste, non capiva perché non riusciva più a sorridere. Sapete cosa significhi sentirsi talmente tristi da non conoscere da dove venga tutto ciò? Non conoscerne le armi, i sotterfugi, gli inganni malefici … non capire e dover spiegare a chi non vuol capire.
L’animo ha detto di essere triste, deriso perché in “questa casa” non si può essere tristi, ha fatto dietrofront.
Non possiamo essere felici a comando, ci possiamo provare ma una forza oscura ti ricaccia indietro, ti tira per i piedi e ti senti sprofondare, risucchiare nel buio. Prima il mattino era abitato da un sorriso, ora ogni risveglio significa angoscia.

Fino a che i momenti sono diventati precise croci su un calendario. Il calendario non mente e ricorda.
Ricordo tutti i momenti in cui ho visto in faccia il mio dolore e chi lo ha deriso, farli volar via è la mia lotta quotidiana, hanno deriso la mia tristezza, hanno deriso i miei sentimenti scambiandoli per opportunismo, mi hanno detto infantile, mi hanno dato della pazza, mi hanno minacciato … ma non mi hanno aiutato.

Abbandono.

Sai cosa significa questa parola?

Sentirsi indegni di qualsiasi aiuto, INDEGNO, non hai meritato qualcosa, c’era una gara? Non sei riuscito a vincere? Qualcuno era migliore di te e, arrivato primo, per merito o nascita, ha meritato tu invece no, indegno di premio, di vittoria, di aiuto e consolazione.
Indegno. Non troppo povero, non troppo malato, non troppo solo, indegno per non aver superato il test della carità?
Indegno per tristezza osmotica. Indegno perché … non puoi essere triste.
Abbandono.
Tutto crolla intorno e la mano che tendi sul baratro pian piano scivola, un dito, poi l’altro … stai sudando, i nervi tesi, te li senti in tutto il corpo, non c’è più nessuno lì su … anzi sì, qualcuno prega che potrai sorridere … MA CHI SE NE FREGA!

Quando la vita ti mette alla prova non stai lì a comparare i dolori, da fuori ti diranno che ci sono dolori più grandi, ma i dolori sono grandi per chi li vive, sono dolori e basta. Avrei voluto raccontare le bugie dette a fin di bene, allentare un momento la forza che in ogni singolo giorno cercavo negli angoli di vita e versare qualche lacrima con un’amica, avrei voluto una mano sulla spalla.
Niente. Solo perché ero troppo triste. Troppo triste? È facile essere amici di chi sorride sempre.

Egoismo.

E non c’è un momento preciso in cui comprendi che tutto questo ti ha trasformato.
Ogni giorno è abitato dalla paura, assale, accelera i battiti di un cuore che alla fine cederà; ogni giorno è abitato dal silenzio, dall’indifferenza per tutto e tutti, nessuna pietà, amore, bene. Pietà per nessuno, un senso di schifo ti invade e non credi più in niente.
Rivedere tutto con ragione, tutto diventa bugia, tutto diventa una marea di bugie, “dietro quella porta non ci sarà nessuno, se non tu, sola” era vero, presagio di un futuro nel quale a nessuno sarebbe fregato niente.
Sai cosa significa vivere ogni giorno con la paura che ti perseguita? Bussa al mattino e si riaffaccia impunita in ogni maledetta ora, incubo nella notte angoscia incontrollabile di giorno … paura di cosa?  …
Suonare la stessa musica, leggere gli stessi testi, guardare gli stessi sorrisi … luoghi … e non sentire assolutamente niente?
Chiedersi infine: ma chi sarà la me vera?
Infine odiare … quando hai gridato aiuto e nessuno ha risposto non senti più chi veramente risponde e consumi un animo ormai inservibile odiando … fino al silenzio. Odiando perché non sei utile più a niente e a nessuno, odiando perché ti hanno fatto sentire inutile, bugiarda, cattiva, “inutilmente triste” e ora hai smarrito la strada e sei lì a chiederti perché non puoi essere triste se non sai più fare altro.
So solo una cosa: le scuse diventano banali parole quando l'egoismo vince e infine la verità ti travolge e dice che voler bene non implica che te ne vogliano, io non avrei mai abbandonato nessuno tanto meno minacciato, purtroppo la rabbia ha parlato per me e ho superato il limite, ma non credevo ...






mercoledì 22 luglio 2015

Fuori metafora




- La tragedia d'Oreste in un teatrino di marionette! - venne ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. - Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor Meis.
- La tragedia d'Oreste?
- Già! D'après Sophocle, dice il manifestino. Sarà l'Elettra. Ora senta un po, che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei.
- Non saprei, - risposi, stringendomi ne le spalle.
- Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo.
- E perché?
- Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl'impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta.
E se ne andò, ciabattando.
Dalle vette nuvolose delle sue astrazioni il signor Anselmo lasciava spesso precipitar così, come valanghe, i suoi pensieri. La ragione, il nesso, l'opportunità di essi rimanevano lassù, tra le nuvole, dimodoché difficilmente a chi lo ascoltava riusciva di capirci qualche cosa.
L'immagine della marionetta d'Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase tuttavia un pezzo nella mente. A un certo punto: « Beate le marionette, » sospirai, « su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato.
Lo strappo nel cielo di carta (Il fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello)

... e allora non sai qual è stato quel momento in cui tutto ha smesso di essere normale, come non sapevi come fosse nata quella sicurezza nonostante tutto.

Poi non l’hai più entrambe, sicurezza e normalità.

Quando il dolore rapisce il cuore, niente e nessuno può aiutarti a riconoscere il bene e si va avanti imprigionati da un senso di non appartenenza ed estraneità.

Nulla ti appartiene e non appartieni più a nulla, non te ne importa, non ci pensi perché il grido dentro non si spegne mai, a volte è lontano e sembra un’eco, poi torna vicino e rompe i timpani.
Estranea a tutto e a tutti, ma non te ne importa, scivola via la parola, il sorriso, il pianto, il gesto. Estraneità.

E vedi vivere, abbandonandoti all’inerzia di un mondo che non ti appartiene più, fino ad amare il silenzio...quel “silenzio in cui ti viene il dubbio se sia il caso di respirare”.

Vorrei tanto aver imparato a suonare il pianoforte. Solitario, indipendente, senza bisogno di altri, bianco e nero, destra e sinistra, una melodia che si addormenta su accordi complici.

Vorrei che le mie parole fossero melodia, arrivassero come il ricordo di un momento, colonna sonora di un’estate.

Vorrei dire come i colori su un dipinto, dire senza parole, perché il dire diventi semplice e non abbia bisogno del coraggio.

Incastrata nel dubbio se ciò che abbiamo perso si può definire tale a prescindere dalla consapevolezza del valore che gli abbiamo attribuito. Considero perse molte cose, avevano valore, ma penso che sia così solo per me, ora ne ho la certezza: nessuno mi considera persa, me o i momenti con me, passati o possibili. 
Nessuno.

Il valore di ciò che abbiamo perso è direttamente proporzionale a come consideriamo poi noi stessi …
Niente, una nullità.

Nessuna giusta distanza per scaldarsi senza farsi male … caro il mio Schopenhuer.
Nessun dubbio di una mano amica nel momento del bisogno, solo vuoto egoismo.
Egoismo che rende ciechi ad altre mani tese.

Opportunismo. Questo è stato solo l’inizio e non se ne esce più. Inimmaginabile il dolore, quel male dal grido muto, senza parole, senza suono, dolore che fa tremare le mani e non puoi trattenere, voler bene e diventare “opportunismo”. Dolore che alberga nella gola e la fa bruciare nel silenzio … in un silenzio che non può disturbare altro … altri, ignari nella stanza accanto sul limitare di una vita.

Il dolore sordo nel silenzio e di colpo la solitudine …

Ho cercato conforto, ho cercato rifugio, ho cercato momenti di pace in una vita d’inferno, implorato che qualcuno ascoltasse il dolore … per lenirlo, per farmi forte e affrontarlo, non si confrontano i dolori, i dolori sono dolori e basta, non ce ne sono di più grandi o di meno gravidi di angosce, e l’inevitabilità della vita, della morte … non è un alibi che placa la sofferenza, non può esserlo se speranza è ancora luce!

Ho visto la morte, ho accompagnato verso la morte, ho avuto l’assurdo bisogno di raccontarlo, bisogno che qualcuno mi dicesse “è la cosa giusta, tranquilla” ma non c’era nessuno. Volevo raccontare di bugie e di sorrisi forzati, di notti insonni tra un letto sudato e la terribile sensazione d’impotenza, ma non c’era nessuno.

Due funerali.

Tre.

La solitudine non va via se sei lontana da te stessa” di me resta solo la mia solitudine.

 … giorni, sono giorni che mi siedo qui, al caldo, e aspetto le parole, aspetto di poterne scegliere di belle, di poco brutali, di giuste, giuste per placare per un po’ il dolore, per l’ennesima volta

... ma sono lontane.

"Il cuore si stanca anche lui, vedi; e se ne va pezzo a pezzo, come le robe vecchie si disfanno nel bucato. Ora mi manca il coraggio, e ogni cosa mi fa paura; mi pare di bevermi il cuore, come quando l’onda vi passa sulla testa se siete in mare.
Tu vattene, se vuoi; ma prima lasciami chiudere gli occhi."
Giovanni Verga, I Malavoglia

sabato 27 giugno 2015

Il cimitero degli aeroplani di carta

(∂+m)Ψ=0
(equazione di Dirac)

… perché forse non è ora di scrivere, non puoi scrivere parole che ancora non ti dicono sì, non ti rassicurano, non sono pronte a vivere e non riusciranno a farti vivere, a liberarti dai pensieri che ti mordono l’anima. Prima i pensieri dovranno divorarti per bene, divorarti di una sana mangiata in riva al mare, cibo e vento che soffia dall’orizzonte lontano. Forse, forse non pioverà, forse il vento non sarà troppo violento da distruggere le parole.





Piegare in due il foglio di carta, su un lato saranno adagiati i pensieri, un cervello che ci trattiene, ordina e mette ordine, peserà in volo e dovremo equilibrarlo per bene se vogliamo che arrivi chiaro alla mente; l’altro lato … sì, sarà quello del cuore, difficile sarà allinearli e piegarli per bene, lati lunghi, sovrapposti, simili ma diversi … Una metà perfetta, forse siamo costruiti proprio così: una metà perfetta, poi una folata e via, scegliamo uno dei due lati finché cadiamo giù. Quel che ci dice il cuore, quel che ci dice la mente, difficile posizionare tutto in ordine per quello che si spera sia un grande viaggio … solo bagaglio a mano. Mi piace preparare le valigie, ordinare per bene gli indumenti e scoprire ogni volta che son riuscita a portare tutto. Forse non sarà tutto così ordinato su quei due lati, ma quanto è difficile trovare il giusto equilibrio, quanto è difficile scegliere cosa portare, difficile è partire.

Tenendo il foglio in modo che i lati lunghi siano in posizione verticale, piegare l’angolo superiore sinistro … dove mettere i bagagli pesanti, bagagli pensanti, quel bagaglio che non abbandoniamo mai, l’angolo cieco nel quale nascondere una valigia il cui destino sarà di non essere mai aperta, ma di viaggiare sempre con noi, buio, è buio e vuole buio. Un piccolo angolo nero che verrà con noi, ma mai sorriderà al vento che spettina le teste e lancia il cuore lontano.

Ripetere l’operazione del passo due con l’angolo superiore destro … non possiamo correre il rischio di cadere. Le parole sono fragili e il volo può essere turbolento, le ali sono fragili e gli sguardi possono anche uccidere, strane combinazioni tra nuvole e arcobaleni potrebbero porre fine al volo.

Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1
Piegare in due il foglio di carta …
Tenendo il foglio in modo che i lati lunghi siano in posizione verticale …
Ripetere l’operazione del passo due con l’angolo superiore destro …
Ripiegare il foglio seguendo la linea creata al passo 1…

Basta, straziante rimandare, ormai tutto è pronto, manca solo un passo.

Creare le due ali piegando i lembi del foglio lungo una linea parallela alla piega centrale, distante da questa un paio di centimetri …
… un paio di centimetri
… un centimetro
… sì, possiamo volare.

Siamo abbastanza vicini per essere sicuri, il giusto vento, una giornata serena, il giusto equilibrio, sentimenti chiari, idee chiare, siamo sicuri che così arriveranno alla meta … o forse alla metà.

Difficile e straziante è trovare parole giuste, per chi vive nel silenzio, ascoltare il suono farsi parola, parola che parla di te, è difficile, affidare al coraggio un pensiero, confidare a due ali un ti voglio bene, tenero come una carezza, delicato come piedi bambini, costruiamo aeroplani di carta, fragili messaggeri di parole abituate al buio, fragili … troppo …

indifferenza

inganno

derisione

un feroce strappo nelle ali

nessuna consolazione al dolore di offesa al coraggio di dire,

nessuna consolazione di fronte a parole che se ne vanno via trattate come bugie

muore il coraggio, muore il pensiero, muore il sentimento

aeroplani caduti in un grigio cimitero dalle ali spezzate

cimitero di aeroplani di carta







domenica 19 aprile 2015

In equilibrio







Ho ascoltato il vento.
Era una giornata calda, un pomeriggio di primavera.
Il vento mi ha chiuso gli occhi, ho respirato.
Ho sentito il vento
"Perché non può essere sempre così?"
Non lo so.
Ci sono cose vento che non puoi comprendere, che non posso, non so spiegare, non so dire.
Certamente so che ho bisogno di te e sarai sempre il benvenuto ad accarezzare il mio volto nelle giornate di primavera, d'inverno, di sempre ...
Il vento era troppo esigente, non ascoltò parola e se ne andò sbattendo la porta.





Testo di canzone
Renato Zero - L'Equilibrista


Camminavo su una corda tesa,
L'equilibrio mi aiuta, a vivere,
Due pi? due non dava, quattro mai,
C'era il caos, nei pensieri miei.
Un bicchiere per dimenticare,
Che morire o vivere, era uguale,
Non riuscivo pi?, a ritrovare,
La mia strada, la mia direzione.
Povero in danari, ricco in fondo al cuore,
Davo tutto il bene, davo un po’ di me.
Ho speso parole, e invano questo amore,
Per chi come me, costretto a mendicare.
Ed in cambio ho avuto, tanto male.
Io cammino su una corda tesa,
L'equilibrio ormai mi aiuta a vivere,
Due pi? due non pu? fare quattro mai,
Torna il caos, nei pensieri miei.
Povero in danari, ricco in fondo al cuore
Davo tutto il bene davo un po’ di me.
Ho speso parole, e invano questo amore,
Per chi come me costretto a mendicare.
Ed in cambio ho avuto, tanto male.
Tanto male.
Tanto male.
L'equilibrista na, na, na.
Troppo male.
Troppo male.
L'equilibrista…

domenica 5 aprile 2015

Scelta








Una scelta.
Saper guarire da un mondo che non ti piace e ti impedisce di vivere.
Una scelta e
la parola vive di nuovo.
La parola che si fa perfezione e dipinge volti irripetibili.
Forse quella linea sottile che 
ci unisce, 
cara tenera amica.

Uno sguardo di silenzi




Sentì parole.
Ascoltare era una magia.
Violentata e morta
tacque.
Lo sguardo narrava
silenzi.
Raccoglieva la propria solitudine
ombra negli occhi.
Fastidiosa e banale
vita.

venerdì 20 marzo 2015

In una piazza fuori da me

Allieva flautista: 
Ma quando suono non respiro per me respiro per la musica. 
...
E in quel momento ci perdiamo un po' 
pausa dalla vita?




Perché quando qualcuno ti odia due sono le cose che puoi fare: non crederci e odiare a tua volta, crederci e odiarti a tua volta, ... la mia scelta è scontata ma mai indifferente, mai indifferenza.
Tante persone da far girar la testa, una festa, un mercato, una partenza, un arrivo, il caso.
Guardano in giro e vedono odio. Guardo in giro e non ho voglia di guardare, vedo, non ascolto, sento rumori che non comprendo.
Voglio scendere dal mio vagone, sono su un binario morto o magari troppo vivo, vivo fuori da me; mi manca l’aria, non ho più un braccio. Mi trascino in mezzo alla festa ma non so dove, non mi piacciono le feste, mi perdo, sono ormai alla deriva.
Hanno rapito l’aria in questo posto e le urla esplodono tra i miei pensieri mentre un martellante ticchettio conta i giorni dell’assenza. Colpisce a fondo, scava un’enorme buca ma non ha il coraggio di seppellirsi, lì, in fondo, dove quell’orologio non possa più contare i passi che restano.
Quella frase: sei una di quelle persone che quando entra in una stanza porta luce … quella frase,  perché non basta a soffocare quell’orologio? Perché non rivolge quel maledetto martello sul suo ticchettio infernale e lo uccide? 
Nessuna luce, in nessuna stanza, ora c’è il buio e mi sto cercando.
Persa.
Qualche giorno fa il vento ha trascinato via le radici del mio albero, sono uscite dal terreno, senza più forza ed esanimi hanno schiantato  a terra l’abete della mia vita, verde, alto e rigoglioso. Ora è in pezzi, tanti piccoli pezzi, morto, non è più e non sarà più.
Il vento, tira sempre il vento tra le mie parole, ora ha portato via me. Ha portato via me e le mie domande, me e la certezza di una mancanza, me e l’umiliazione di una richiesta, me e il troppo valore dato ai sentimenti, me e le bugie, la rabbia e la disperazione, me e l’assenza di me.
Persa.
Mentre fuori la piazza è in fermento, non sente il gelo lontano, è lì con i pezzi del mio abete, li schiva quasi fossero una profonda e sporca pozzanghera … uno schifoso e putrido luogo da evitare, un freddo e buio ieri dal quale allontanarsi.
E pensare che  avevo creduto di potercela fare.






sabato 7 marzo 2015

Quando è troppo tardi




- 99
Ho già sprecato un giorno.
Non so perché ma avere un conto alla rovescia preciso mi aiuta a non cadere nella totale apatia. In realtà è solo una condanna statistica e oggi non riesco a pensare cosa accadrà esattamente dopo il giorno zero. Nessuno immagina mai la propria morte. Anzi, ne neghiamo l’esistenza. Tutti siamo sicuri che per noi sarà fatta un’eccezione [...].
Ogni giorno m’illudo di svegliarmi e scoprire che tutto questo è soltanto un lungo, ben fatto e circostanziato incubo da peperoni (i piú pericolosi), ma anche oggi non accade.
Parcheggio la station-wagon con cura. Mi hanno già fatto tre multe qui a Trastevere, credo che il vigile mi odi. Faccio la solita sosta in pasticceria, due chiacchiere con mio suocero senza citare mai l’amico Fritz, la mia amata ciambella, il mio amico passerotto oggi particolarmente gioviale, la camminata a memoria fino in palestra.
Conosco ogni buca del marciapiede e ogni aiuola. So già dove mi abbaierà un cane e da quale villetta sentirò urlare. Cerco di pensare alle cose che voglio fare in questi novantanove giorni. Me ne viene in mente solo una, ma molto importante: fare pace con Paola.
Fausto Brizzi, Cento giorni di felicità

domenica 1 marzo 2015

La notte



















Urla.



Denudata e imprigionata, 




sentiva la notte diventare




liberazione.




Capacità di riconoscere i veri nemici.

La fine

Vaga sensazione che tornava ad avvicinarsi.

Guardavamo il desiderio

come una magia.

Era l'unico messaggio

prima della fine.

Simbolico 

lontano

silenzio.



Viaggio








Quei pensieri l'aspettavano.

Tremavano.
Gridò 
per un istante
al di là di oceani e continenti.
Avrebbe voluto
fondersi con loro.
Viaggio improvviso.

sabato 7 febbraio 2015

IL DOLORE DELLA NOSTALGIA


Si spense.
Si spense senza esitazioni 
e silenziosa come un ricordo.
Angoscia impossibile.
Inquieto sorrise.
Raccolse le stelle cadenti,
nelle notti d'estate
teneva fisso lo sguardo.
Simmetria millimetrica.






venerdì 6 febbraio 2015

Tra le parole

Al di là di te, o mare, ho un paradiso in cui
io vestii la delizia, non la sventura.
Ibn Hamdis, Il Canzoniere II, vv. 20-21

Qualche giorno fa la mamma di un’alunna della mia scuola se n’è andata. Stare in classe con i suoi amici non è stato facile. Piangevano di un pianto inconsolabile, per la prima volta sono rimasta senza parole, non sapevo cosa dire o fare, come riuscire ad abbracciare tutte insieme quelle lacrime, dove trovare parole per rendere meno straziante il dolore, per lenire la presenza della morte, per consolare la tristezza provata per un’amica.

Ho chiesto loro di parlare.

“Prof. lei non piange, voleva solo parlare e la prima che ha cercato sono stata io! La sua migliore amica.”

Ho cominciato a piangere davanti a undicenni confusi in cerca delle mie parole, ma queste non ci sono state. Hanno solo visto le mie lacrime, per il mio papà e per quell’amica alla quale ho chiesto aiuto e che non c’è stata. Che mi ha lasciata sola.

Ho fatto leggere un testo che avevo preparato e ognuno di loro ha scritto un messaggio per l’amica … rimasta senza mamma a undici anni. Le abbiamo regalato un abbraccio di parole.



“Ti auguro di non avere mai un'amica come te.”

Morire in un solo momento. Il cuore è ormai da buttare, non ti servirà più, hai creduto al tuo istinto ma per la prima volta ti ha tradito.

Ti ha tradito? Non lo so.

Morire dentro, silenzio, perdersi per non tornare mai più.

Anima in frantumi incapace di reagire. Freddo inconsolabile.

Sono ferma, qui, sul burrone di quelle parole o forse son saltata giù senza appigli per tornare indietro.

Intorno solo il buio.

Una frase e si cancella un pezzo di vita, una frase e vola via il resto da vivere.
La potenza delle parole. Mi piacciono le parole, armi potenti o carezze impensabili, improvvise incertezze o sicuri abbracci in un giorno di pioggia.

Via i momenti belli, le risate, la condivisione, i pensieri divisi in due.

Via le promesse, quelle di esserci sempre, quelle di dirsi tutto.

Via tutti i ti voglio bene e i mi manchi.

Le parole che cancellano e distruggono, le tue parole fanno male.

Dieci parole ed è svanito nel nulla il desiderio di ascoltare, dispersa la capacità di confortare, morta la fiducia in chiunque.

Ma ti capita di pensarmi e sorridere solo per un secondo? A me sì.

A me sì perché non fa bene al cuore essere costretti al silenzio. Fa molto male. Male non poter dire, regalare parole, quelle che ti salgono in quei rari momenti di bellezza e tu sei lì pronta a dire ma la ragione le inghiotte di nuovo.

Via le parole che avevano un senso, non sono neanche suono a produrre armonia, sono solo silenzio e vuoto … risuonano nella mia testa e sono cattive.

Convivere con la consapevolezza di essere inutili, con il vuoto lasciato dai sentimenti, scacciarli via per ritrovarseli accanto a sussurrare parole.


Non posso abbandonare il pensiero … se lo facessi allora sì, allora sì che sarei veramente sola.