venerdì 21 agosto 2015

Fuori metafora 2: incomprensioni

... e il tempo passa, passa ma si dimentica di far pulizia, di portare tutto via con sé,
ancora avido di speranze,
dovrò consolarlo e convincerlo della cattiveria del mondo




Non c’è stato mai un momento preciso in cui tutto aveva inizio, non accadeva mai così, i momenti scavavano dentro fino a costruirsi da sé, cumularsi, capirsi, arrovellarsi per poi, infine, esplodere. Il dolore ha logorato un animo forte, così credeva di essere, la sua energia veniva da fuori, una combinazione di parole amiche e di un passato, quel passato che lima il carattere e i sentimenti, indica cosa fare, come soffrire o come ridere, una combinazione. Parole amiche e passato.

Non c’è stato un momento preciso in cui la bilancia pesasse più da una parte, rendendo l’animo resistente e leggero, tanto leggero da farlo volar via. A passi lenti l’animo non ha retto più e gradualmente la forza richiesta è diventata tristezza. Il peso del dolore, quel male di morte, di attese, di malattia, di incomprensioni, accuse, promesse  è diventato obeso, si è dato appuntamento tutto in un grande sacco e … In quel momento non ci si accorge di nulla, un animo imbattibile che sapeva curarsi da sé si è gonfiato di dolore, quel male che chiedeva di essere diviso in due, ma, novello debole, non ha saputo farlo.

Non c’è stato un momento preciso in cui la tristezza ha iniziato a non voler sorridere più, non ce la faceva e basta e ad ogni richiesta di sorriso non capiva, non capiva perché gli altri non comprendessero più l’impotenza di un animo triste, non capiva perché non riusciva più a sorridere. Sapete cosa significhi sentirsi talmente tristi da non conoscere da dove venga tutto ciò? Non conoscerne le armi, i sotterfugi, gli inganni malefici … non capire e dover spiegare a chi non vuol capire.
L’animo ha detto di essere triste, deriso perché in “questa casa” non si può essere tristi, ha fatto dietrofront.
Non possiamo essere felici a comando, ci possiamo provare ma una forza oscura ti ricaccia indietro, ti tira per i piedi e ti senti sprofondare, risucchiare nel buio. Prima il mattino era abitato da un sorriso, ora ogni risveglio significa angoscia.

Fino a che i momenti sono diventati precise croci su un calendario. Il calendario non mente e ricorda.
Ricordo tutti i momenti in cui ho visto in faccia il mio dolore e chi lo ha deriso, farli volar via è la mia lotta quotidiana, hanno deriso la mia tristezza, hanno deriso i miei sentimenti scambiandoli per opportunismo, mi hanno detto infantile, mi hanno dato della pazza, mi hanno minacciato … ma non mi hanno aiutato.

Abbandono.

Sai cosa significa questa parola?

Sentirsi indegni di qualsiasi aiuto, INDEGNO, non hai meritato qualcosa, c’era una gara? Non sei riuscito a vincere? Qualcuno era migliore di te e, arrivato primo, per merito o nascita, ha meritato tu invece no, indegno di premio, di vittoria, di aiuto e consolazione.
Indegno. Non troppo povero, non troppo malato, non troppo solo, indegno per non aver superato il test della carità?
Indegno per tristezza osmotica. Indegno perché … non puoi essere triste.
Abbandono.
Tutto crolla intorno e la mano che tendi sul baratro pian piano scivola, un dito, poi l’altro … stai sudando, i nervi tesi, te li senti in tutto il corpo, non c’è più nessuno lì su … anzi sì, qualcuno prega che potrai sorridere … MA CHI SE NE FREGA!

Quando la vita ti mette alla prova non stai lì a comparare i dolori, da fuori ti diranno che ci sono dolori più grandi, ma i dolori sono grandi per chi li vive, sono dolori e basta. Avrei voluto raccontare le bugie dette a fin di bene, allentare un momento la forza che in ogni singolo giorno cercavo negli angoli di vita e versare qualche lacrima con un’amica, avrei voluto una mano sulla spalla.
Niente. Solo perché ero troppo triste. Troppo triste? È facile essere amici di chi sorride sempre.

Egoismo.

E non c’è un momento preciso in cui comprendi che tutto questo ti ha trasformato.
Ogni giorno è abitato dalla paura, assale, accelera i battiti di un cuore che alla fine cederà; ogni giorno è abitato dal silenzio, dall’indifferenza per tutto e tutti, nessuna pietà, amore, bene. Pietà per nessuno, un senso di schifo ti invade e non credi più in niente.
Rivedere tutto con ragione, tutto diventa bugia, tutto diventa una marea di bugie, “dietro quella porta non ci sarà nessuno, se non tu, sola” era vero, presagio di un futuro nel quale a nessuno sarebbe fregato niente.
Sai cosa significa vivere ogni giorno con la paura che ti perseguita? Bussa al mattino e si riaffaccia impunita in ogni maledetta ora, incubo nella notte angoscia incontrollabile di giorno … paura di cosa?  …
Suonare la stessa musica, leggere gli stessi testi, guardare gli stessi sorrisi … luoghi … e non sentire assolutamente niente?
Chiedersi infine: ma chi sarà la me vera?
Infine odiare … quando hai gridato aiuto e nessuno ha risposto non senti più chi veramente risponde e consumi un animo ormai inservibile odiando … fino al silenzio. Odiando perché non sei utile più a niente e a nessuno, odiando perché ti hanno fatto sentire inutile, bugiarda, cattiva, “inutilmente triste” e ora hai smarrito la strada e sei lì a chiederti perché non puoi essere triste se non sai più fare altro.
So solo una cosa: le scuse diventano banali parole quando l'egoismo vince e infine la verità ti travolge e dice che voler bene non implica che te ne vogliano, io non avrei mai abbandonato nessuno tanto meno minacciato, purtroppo la rabbia ha parlato per me e ho superato il limite, ma non credevo ...






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